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Finalista del Premio Confindustria Piemonte 2019.
Con voce duttile e originalissima, Raspi sta dentro i fatti con rigore e semplicità, restituendo emozioni e senso del reale, testimone vigoroso dei tempi nostri.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Bel libro.Una scrittura quasi minimalista ma che allo stesso rende perfettamente il clima della fabbrica e le preoccupazioni e gli stati d'animo dei protagonisti.Romanzo da leggere basato su vicende realmente accadute
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
La prima vita di Eugenio Raspi è stata la fabbrica, la Acciai Speciali di Terni, dove per più di vent’anni ha lavorato come tecnico specializzato. La seconda comincia a 47 anni, dopo il suo licenziamento. La terza è la decisione di scrivere dell’acciaieria nell’attesa di un lavoro facendo dello scrivere un nuovo lavoro. Inox è il romanzo di una cattedrale della siderurgia, che da oltre un secolo trasforma cumuli di lamiere in rotoli di inossidabile. Il romanzo racconta le vicende di una squadra, la C, addetta al Forno 3, sei persone che vivono il lento e inesorabile smantellamento della fabbrica. La novità di Inox è la voce narrante, un noi-fabbrica che ci costringe a entrare dentro il cuore fuso e rovente delle giornate passate a caricare, fondere, mandare avanti. La fabbrica e la squadra protagoniste della narrazione diventano sostanza e centro del racconto fino allo scioglimento finale, quando uno dei componenti del gruppo decide di accettare il licenziamento in cambio di una somma di denaro. Il tradimento del narratore gli conferirà il diritto alla prima persona, la sua espulsione dall’azienda gli varrà la promozione a voce narrante. Chiuso il cerchio. Sta tutto in questo “noi” il senso forte del romanzo, la possibilità offerta al lettore di condividere un’esperienza di lavoro, un mondo chiuso fatto di turni pesanti, di gesti precisi fuori dai quali il rischio di incidenti è un rischio mortale. […]. Inox mette in scena quasi una tragedia greca, il conflitto della fabbrica si riverbera sul rapporto tra i due fratelli Claudio e Sergio Asciutti, amministratore delegato il primo e caposquadra l’altro, poli opposti delle nuove dinamiche di azienda davanti alle quali il padre di entrambi, operaio in pensione picchiato dalla polizia durante una manifestazione di protesta, soccombe. Quelle della visita in ospedale e poi del suo funerale sono tra le pagine più alte del romanzo, pagine in cui il noi si ricompone per l’ultima volta davanti ad un’azienda ormai spersonalizzata e patrigna. Scontato citare Volponi, ma è al capolavoro di Ermanno Rea, La dismissione (2002), che occorre pensare, a quel grande romanzo che per primo ha raccontato la fine dell’Ilva di Bagnoli. Solo che Rea, con un passato da giornalista d’inchiesta, aveva dovuto ricorrere ai racconti di un operaio perché gli offrisse la sua esperienza e la sua competenza […]. Oggi Raspi ripercorre la storia di una fabbrica, la sua, e con l’ausilio di una scrittura essenziale riesce a farci toccare con mano l’estinguersi di una grande industria italiana complice la cattiva politica, il diritto al lavoro calpestato, la mancata tutela del territorio, il ruolo incerto quando non dannoso dei sindacati. […] “I romanzi sono inventari di cose perdute” così scrive Rea nelle ultime pagine del suo libro. Raspi sembra voler rilanciare quell’idea di sconfitta, recuperarla con un gesto di orgoglio e di volontà, di coraggio e rimetterla al centro del racconto, in cerca di un futuro non ancora visibile all’orizzonte.
Recensione di Benedetta Centovalli
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