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Anno edizione: 2004
Anno edizione: 2005
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GRAN BEL LIBRO!
Una cronaca di vita di provincia (liguria) con personaggi sapientemente e gustosamente tratteggiati le cui vicende 'costringono' il lettore ad iniziare un capitolo subito appena finito il precedente. Con inoltre tante citazioni curiose sul mondo letterario italiano. Lo consiglio in tutta tranquillità.
Recensioni
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Come si fa a recensire un romanzo che ha per protagonista un recensore di romanzi veri e freschissimi, e che, tra i figuranti, annovera il suo stesso autore e persino il vostro qui presente recensore? Nico Orengo, stavolta, ha cambiato, almeno in parte, registro e si è divertito a raccontare la storia di Scullino, un professore di Ventimiglia che, ormai in pensione dalla scuola, si dedica esclusivamente a recensire narrativa italiana per un giornale, dividendosi equamente, e con la stessa puntigliosa dedizione, tra amori intellettuali e passioni carnali, tra libri e donne. Di Scullino si conosce l'intera, dinamica famiglia: la signorile moglie che sopporta e ricambia con molto tatto i tradimenti del marito; la figlia nevrotica e immatura; il nipotino Andrea (che cambia a p. 178 per un attimo nome, segno, guarda caso?, della stessa trascuratezza redazionale che Scullino rinfaccia all'editore di Io uccido di Faletti); Silvio, il genero, artista naïf che veste i mandarini e stravolge con pedagogico intento ecologista i cartelli stradali di Ventimiglia.
L'ambiente è quello di sempre, per Orengo; ma stavolta l'estremo Ponente ligure funziona, più che da rimpianto parco naturalistico, da amato esponente della provincia tipo, dove l'intellettuale cittadino può compiacersi di credere che ci sia ancora gente buona e arguta che passa il proprio tempo al bar, tra fintamente svogliati discorsi politici e allegre battute, come fanno al Café de Paris gli amici del professor Scullino, importanti coprotagonisti di tutto il libro e primattori del gran finale. In questa provincia dai ritmi ancora umani (quella dei bar e delle marine, non quella del deposito ferroviario abbandonato e degradato, che sente della riviera malata descritta da Biamonti), si parla di libri, si organizzano premi letterari, si preparano e disputano recensioni e presentazioni di Faletti, di Camilleri, De Luca, Conte, Baricco o Orengo stesso. I personaggi che popolano questo universo variopinto e allegro, appena nevrotizzato dalla cultura e dalla concorrenza intellettuale, sono belle e procaci donne, come l'esperta di letteratura straniera Longoni-Piva che fa al protagonista uno straordinario quanto imbarazzante effetto, e sono intellettuali veri, presi da Orengo come stanno, in carne e ossa, e portati sulla pagina senza molte variazioni, perlopiù col loro anagrafico nome e cognome.
Sicché un ponentino come chi scrive finisce per leggere il libro con la stessa divertita curiosità con cui si guarda una cartolina del proprio paese, cercando casa propria o quella degli amici e parenti. Ma chi non è di quelle parti non si preoccupi; non gli sfuggirà, di queste mosse istantanee, l'effetto che conta: una storia piena di ritmo, incredibilmente popolata, affollata di innumerevoli personaggi vivi, autentici. L'astuto Orengo ha potuto gremire di così tanta vita vera le sue pagine perché ne ha preso molta direttamente e senza troppi scrupoli da dove circola, sapendo cogliere dietro i suoi amici di laggiù dei simpatici personaggi da romanzo. È il caso (tanto per farne un paio) della elegante signora Caterina Garibbo-Siri, promotrice di iniziative culturali nell'imperiese, o dell'attivissimo professor Francesco Improta, stimato professore di Bordighera, che del libro è stato presentatore qualche settimana fa a Isolabona, in un incontro letterario che ha offerto l'inusuale opportunità di vedere un personaggio parlare del romanzo di cui è un protagonista.
Lo sguardo di Orengo si muove divertito e ammiccante tra la vitalità pulita dei suoi amici ponentini e la saturazione polverosa dell'ambiente dei supplementi letterari dei giornali (che lui ovviamente conosce a menadito) e dei romanzi e romanzieri di oggi, tra i quali emerge e si salva, in un affettuoso ricordo, il suo vecchio amico Francesco Biamonti, non dimenticato affabulatore della Liguria estrema. In mezzo, ci sono il gusto e l'attivismo di un eros presenile, gioioso ma minacciato da presentimenti malinconici, donne procaci (Marisa, Longoni-Piva) e amplessi gustosi come i piatti più saporiti della cucina locale, gli uni e gli altri delibati col piacere e l'ansia di quell'età che dimostra la propria raggiunta saggezza con l'accoglienza solare e tenera al cibo e svela le sue impreviste angosce con una caparbia e metodica frequentazione del sesso.
L'intagliatore di noccioli di pesca (il titolo è un'immagine di Fruttero & Lucentini per definire il meticoloso recensore di libri) è un romanzo piacevole, che fa ripetutamente ridere e pensare, acuto e volutamente fatuo (si vada a controllare l'indice), quasi uno scherzo affettuoso ai due mondi tra cui Nico Orengo da sempre vive, pendola e pencola: quello dei libri e quello della sua Liguria, quello della letteratura sempre più "senza sugo" (per riprendere la parodia di un titolo fortunato) e quello della provincia, ancora un po' saporito e sempre simpaticamente matto.
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