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Dettagli

1993
1 gennaio 1993
Libro tecnico professionale
208 p.
9788820722074

Voce della critica


recensione di Tozzi, M., L'Indice 1994, n. 5

"... O lo controlli o non lo controlli! Non fare il furbo. Per esempio, lo sai spegnere?" esclamava il poco evoluto zio Vania a Edward - "Il più grande uomo scimmia del Pleistocene" (Adelphi, 1992) - a proposito del fuoco, col quale da poco gli umani avevano preso dimestichezza. Come faceva rimarcare giustamente Roy Lewis, il fenomeno degli incendi è antico quanto e più dell'uomo, se è vero che la radice etimologica greca persiste nella toponomastica di molte regioni (come per i Pirenei, bruciati già al tempo dei Fenici); è l'impatto con il territorio a essere mutato radicalmente a causa della minore quantità di spazio "naturale" a disposizione. Neanche i 160.000 ettari di boschi e verde bruciati in Italia nel solo 1993 devono far pensare che gli incendi siano un fenomeno recente nella storia dell'uomo. È vero che c'era un tempo - nemmeno troppo lontano - in cui sarebbe stato possibile raggiungere la Sicilia da Gibilterra penzolandosi da un ramo all'altro senza mai scendere a terra e, per restare in Italia, in cui la Sardegna era la più grande foresta "galleggiante" del Mediterraneo. Ma l'incendio è la più antica tecnica di gestione della vegetazione e in passato favoriva la pastorizia e la caccia nell'erronea - ma almeno inconsapevole - convinzione che le risorse naturali fossero illimitate. Tanto profondi sono i mutamenti apportati dall'uso del fuoco da parte dell'uomo, che interi paesaggi da noi ritenuti "naturali" i cioè primigeni) sono in realtà figli diretti del fuoco: la brughiera - per esempio - non costituirebbe una delle principali attrattive paesistiche delle isole britanniche senza il continuo modellamento subìto, a causa degli incendi antropici, dalla vegetazione preesistente, così come non esisterebbe la savana senza la distruzione millenaria della boscaglia primitiva.
Oggi l'uomo resta il solo responsabile degli incendi che annualmente sottraggono alla Terra migliaia di chilometri quadrati di verde, e le sue colpe sono aggravate dalla coscienza del danno e dalle condizioni già deteriorate dell'ecosistema su cui interviene. Alle vecchie motivazioni di incrementi dei pascoli e di selvaggina (residui regionalistici ancora vivi in Sardegna e in Cornovaglia) si sono ormai sovraimposte le sistematiche distruzioni allo scopo di ottenere terreni per edilizia o nuovi latifondi, in barba alle leggi regionali di non ricostruzione in aree bruciate, o - fatto più grave - le speculazioni legate allo spegnimento stesso dei fuochi e al rimboschimento. Al giorno d'oggi gli incendi portano - paradossalmente - ricchezza e non c'è ancora una risposta culturale adeguata alla gravità della situazione. Uno dei maggiori contributi del libro curato da Mazzoleni e Aronne sembra proprio quello di spostare il discorso circa gli incendi sul piano culturale, con l'obiettivo di promuovere la conoscenza e la comprensione del fenomeno incendio in rapporto alla vegetazione. I contributi di ricercatori culturalmente diversificati e provenienti da nazioni differenti permettono una rassegna completa dei vari scenari naturali e del loro comportamento dopo il passaggio del fuoco. Si evince così che alberi e boschi non possono essere valutati in termini puramente commerciali, non sono cioè rimpiazzabili, e che - anzi - considerarli come merce ha portato alla costruzione di ecosistemi artificiali, caratterizzati da un verde di qualità scadente, poco diversificato o precario.
Una lettura approfondita consente di mettere in luce come l'effetto disastroso dell'incendio non si esaurisca con la consumazione di aree vegetate e con il cambiamento spesso radicale del paesaggio, ma si aggravi vistosamente con la stagione umida, quando £ le piogge non troveranno più il reticolo di radici e piante a frenarne l'azione erosiva e il degrado idrogeologico sarà irreversibile. Fuoco e acqua costituiscono un doppio colpo da cui difficilmente il territorio si riavrà in tempi brevi. Ciò nonostante la capacità di reazione alla distruzione incendiaria da parte delle aree verdi resta comunque notevole, specie per molte delle piante che costituiscono le comunità vegetali mediterranee: non è il fuoco che distrugge boschi in gran parte costituiti da piante ormai piroresistenti - perché già selezionatesi in passato -, ma l'erosione accelerata che investe le aree incendiate. La conseguenza è che - per esempio in Italia - mancano le foreste "vecchie", cioè il regime pirico antropogenico ha portato a una situazione di estremo degrado, caratterizzata dall'assenza di diversità biotica. E l'azione del fuoco è stata talmente profonda che nessuno è oggi in grado di descrivere quale fosse la vera vegetazione primeva nel Mediterraneo.
L'incendio è un fattore probabilmente già presente nel trend evolutivo generale degli ecosistemi vegetali ed è noto che ci sono piante pirofile (come la 'Banksia' australiana i cui semi si spargono solo dopo il passaggio del fuoco) che riescono a svilupparsi meglio proprio dopo un incendio, quando il sottobosco è stato ripulito dalla lettiera. È il caso delle pinete nostrane - il pino silvestre si riproduce meglio in condizioni di deforestazione -, ma taniche di molte aree dei grandi parchi nordamericani, dove le guardie forestali guidano e circoscrivono gli incendi, senza spegnerli, per trarne i benefici che essi naturalmente portano. Di incendi spontanei - innescati da fulmini e vulcani ancora prima della comparsa dell'uomo - si ritrova una traccia in molte rocce del passato geologico e ormai risulta assodata la loro efficacia, da un punto di vista evolutivo, per gli ecosistemi sani. Il problema nasce quando il sistema naturale è compromesso e costringe a occuparsi di prevenzione e spegnimento a scala ormai planetaria. L'introduzione di nuove tecniche di telerilevamento sembra possa essere decisiva nel campo della prevenzione, così come la costruzione di mappe di rischio, ma di questi temi intenzionalmente non si parla nel libro, riservato per intero alla parte conoscitiva, cioè agli aspetti botanici e ai processi dinamici della vegetazione.
La struttura del libro è quella tipica degli atti di un congresso, raccolti per tema e per autore, con molte illustrazioni - la riproduzione in bianco e nero delle quali non risulta peraltro molto efficace - e una ricca bibliografia; la traduzione degli interventi stranieri avrebbe, però, potuto essere più vivace. La modellistica degli incendi viene infine illustrata in dettaglio e, attraverso esperimenti di simulazione, conferisce corpo alla parte più teorica, che si giova inoltre del principio informatore della salvaguardia della vegetazione e - caso raro - di un grande rispetto per la natura.

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