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Invernale - Dario Voltolini - copertina
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Invernale

Descrizione

Libro incluso nella sestina finalista del Premio Strega 2024

Libro finalista all'Orbetello Book Prize 2024 e del Premio Flaiano 2024 - Narrativa

Libro presentato da Sandro Veronesi nell’ambito dei titoli proposti dagli Amici della domenica al Premio Strega 2024.
Con un linguaggio vivo come il rumore delle voci al mercato, Dario Voltolini ci consegna un gioiello di narrativa, delicatezza e memoria, in grado di trascinarci con impeto nella spirale di dolore ora sommessa, ora caotica, ma sempre potentissima, dei pensieri, fino a un luogo che è allo stesso tempo inferno e rifugio nel ricordo di quando tutto sembrava andare bene.

«Dario Voltolini si conferma una delle voci più interessanti del nostro panorama letterario. Il rigore emotivo è la sua grande cifra.» - Romana Petri

«Ho visto Voltolini maneggiare nelle sue storie quasi tutte le circostanze umane. Per farlo ha un solo attrezzo che si è costruito da sé. Nessun altro ce l’ha.» - Davide Longo

«Voltolini ci accompagna in modo originalissimo nel più comune e misterioso dei viaggi.» - Letizia Muratori


Il padre spacca gli animali, entra nelle loro viscere, separa i muscoli dalle membrane, estirpa gli organi e le ossa. Il padre vende pezzi di animali. Il padre si immerge nella voragine biologica e ne tira fuori bistecche. I tagli di carne sono il suo mestiere e la sua arte. Il padre è un macellaio. Il padre ha il compito di inoltrarsi nella carne morta e di uscirne porgendola ai vivi, perché la vita continui la sua catena vorace. È un traghettatore fra le due sponde della carne, fra la viande e la chair, fra meat e flesh. Al banco di vendita del mercato serve i pavidi che non affrontano i corpi che mangiano, non ne vogliono sapere, delegano il lavoro sporco ai macellai. Un giorno qualcosa va storto nella coreografia perfetta delle lame e un taglio sghembo quasi gli mozza un pollice. È l’inizio di un’altra discesa nella carne, questa volta la sua. Al lavoro, un batterio lo ha contaminato. Comincia con un’infezione, prosegue con la spossatezza, una diagnosi ferale, i protocolli sanitari, i viaggi in clinica all’estero. Il figlio Dario, ventenne, immerge lo sguardo nella carne del padre che si deteriora, e nella malinconia del congedo. Un’intimità fortissima li avvolge, come succede quasi solo nel rapporto tra figlie e madri. Entriamo nello sguardo del figlio, prensile ed esatto, che vede accasciarsi il padre. La precisione è la forma che assumono la sua devozione e la sua sofferenza.

Proposto da Sandro Veronesi al Premio Strega 2024 con la seguente motivazione:
«Ci sono libri così belli da sbalordire. Cos’hanno in più degli altri? Magari l’autore ha già scritto altri libri molto belli, è una figura nota, apprezzata, i suoi punti di forza sono ben conosciuti e la qualità della sua scrittura non dovrebbe sorprendere nessuno: eppure in quei libri lo fa, sorprende, sbalordisce. Perché? Perché tutt’a un tratto sembra che quell’autore sia nato per scrivere quel determinato libro, e che tutti gli altri che ha scritto prima non siano stati altro che un passo per arrivare a scriverlo? Io non so rispondere a queste domande, ma so che ogni volta che apro un libro, ogni santa volta, in cuor mio spero che si tratti di uno di quei libri, così da ritrovarmi ancora una volta sbalordito per la bellezza e confuso in questo mistero. “Invernale” di Dario Voltolini è uno di quei libri. La bravura di Voltolini è nota. La luminosità della sua scrittura è nota. La genialità del suo modo di raccontare il mondo è nota. Eppure nessuno dei suoi libri precedenti mi aveva sbalordito come questo – ed è per condividere il mio sbalordimento che ho deciso di presentarlo per l’edizione 2024 del Premio Strega.»

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Dettagli

2024
20 febbraio 2024
144 p., Rilegato
9788834617182

Valutazioni e recensioni

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Giuber
Recensioni: 4/5

Una pietra durissima, levigata. Che un amico ti scaglia in pieno petto.

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Vincenzo
Recensioni: 5/5
Intimo

Torino, anni 70. Un figlio che racconta minuziosamente il mestiere del padre, il macellaio. Animali spellati e spaccati a metà, rumore dei coltelli, attività di vendita. Poi la malattia. Alla fine è tosta, molto tosta. È un libro che va letto con consapevolezza. Dario Voltolini, dopo 40 anni dalla morte del padre, vuole raccontare quell'esperienza e lo fa in modo cinico, non smielato, con uno stile ricercato ma che, nonostante questo, riesce a lasciare una forte emozione. "Il cancro ha evidentemente un progetto suicidiario, perché quando vince crepa pure lui. In questo, sembra comportarsi come il genere umano rispetto al pianeta che lo ospita, insieme alle altre bestie che però non sembra abbiano lo stesso progetto. Noi invece, fatti a immagine e somiglianza di Dio, a differenza del lombrico, della gallina e della iena, vogliamo la fine nostra e del nostro ambiente con noi. Ogni giorno la cosa si manifesta con più chiarezza, è diventato un fatto di cui non si può dubitare".

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Anna
Recensioni: 5/5
Meritava la vittoria allo Strega

Un incidente sul lavoro, un’infezione batterica e poi la diagnosi di una malattia ben più grave: una storia intima, personale, sul rapporto tra un padre e un figlio, fatto perlopiù di silenzi, di ipotesi, di intuizioni reciproche. A colpire davvero è il modo di raccontare la malattia e il lutto, dicendo della confusione, dello smarrimento, del senso di colpa e della rassegnazione che si prova davanti a una fine inattesa e inevitabile. A colpire è lo sguardo, che da esteriore si fa interiore, che sembra distaccato ma in fondo non lo è mai, perché è lo sguardo di un figlio che vive la progressiva e poi definitiva perdita del padre: uno sguardo che è come una lente d’ingrandimento. “Invernale” è una lettura forse non immediatamente apprezzabile da tutti, sia per il tema che per lo stile di scrittura, originale, tagliente, fatto di parole non banali scelte con precisione quasi chirurgica. Ma questo romanzo è soprattutto un libro con un finale degno, che si legge con una certa commozione: con buona pace di Donatella Di Pietrantonio, forse tra i finalisti del Premio Strega era Voltolini a meritare la vittoria.

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Recensioni

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Voce della critica

Lui si alza. La lattescenza del mattino. Ci sono mangrovie che piovono legno nell’acqua, fanno cattedrali che si specchiano in laghi senza trasparenza, sbarre che scendono e irretiscono tutta la scena in una geometria di gabbia. Ci sono aurore boreali che sventagliano nei cieli gelati come scogliere che disperatamente vogliono emanciparsi dall’assalto dell’oceano che sempre si muove, e allora ci divincoliamo anche noi scogliere, sempre ferme a reggere gli urti senza intelligenza della massa d’acqua, in alto nei cieli, festoni festanti, ci divincoliamo come sipari che non ne possono più di tutto questo cazzo di teatro


Ci sono romanzi che sono urli perfetti. Come tali non hanno la necessità della durata: posseggono già la qualità della voce e la forza di una verità. Invernale (La nave di Teseo), nelle sue centoquarantaquattro pagine, rientra indubitatamente in questa categoria. Non a caso Veronesi, nel messaggio di presentazione con cui ha candidato Voltolini allo Strega, parla di un libro che sbalordisce; e non perché le capacità dell’autore non fossero ben note ai più, quanto perché “tutt’a un tratto sembra che quell’autore sia nato per scrivere quel determinato libro, e che tutti gli altri che ha scritto prima non siano stati altro che un passo per arrivare a scriverlo”.


Con una penna lirica e al contempo chirurgica, di un’intimità incandescente che alterna l’evocatività crudissima alla più delicata delle memorie, Voltolini confeziona il testo della vita. Di una vita, articolo determinativo, quella che abbiamo e che usiamo quasi del tutto per imparare come si sta al mondo. Come viverla, appunto.


Navigando il territorio dell’autofiction con questa consapevolezza, figlia dell’esperienza attraversata come uomo oltre che come scrittore, l’autore stesso ci racconta l’evento segnante della sua esistenza: la perdita del padre. Non c’è alcun pietismo, però. 


Non una sola forma di retorica. Non si esprime mai la banalità del dolore: in nessun modo Invernale è un libro comune, scontato o già visto.


C’è il movimento, quello sì. La disgregazione della carne. Prima di tutto quella delle bestie, che con somma disciplina e un certo rigore sacrale – lo stesso della scrittura di Voltolini, nell’eredità di un gesto che travalica i mestieri e gli anni, e s’impone imperiosa come un tratto genetico – Gino disossa, taglia, porziona, ordina, dissangua, decapita, prepara, spolpa, pulisce nel mercato di Porta Palazzo, dove lavora come macellaio. Sullo sfondo questa Torino periferica anni ’70, slavata eppure bellissima. Indispensabile. Narrata in continui allargamenti e restringimenti di prospettiva, nell’unicità di certi dettagli e in tutto ciò che si può riconoscere anche lateralmente, e che è ancora più divertente riconoscere lateralmente. Come un atto privato, forse segreto, sicuramente nascosto.


Soprattutto il sabato il mercato è preso d’assalto da una massa di persone. Ci sono folle nelle corsie, non si passa. Di fronte a ogni banco uomini e donne si spingono e parlano forte. Sembrano una versione insurrezionale della Borsa di Wall Street. Dentro i banchi dei commercianti con furia si accelerano i movimenti, per servire tutti il prima possibile. C’è una danza lì dentro, con persone a loro volta in massa, che devono prevenire le traiettorie dei movimenti uno dell’altra, una dell’altro


Carne che va, carne che viene. Un giorno l’ordine esatto dell’agire di Gino subisce l’errore di qualcuno, o magari proprio suo, e l’urto di quel disequilibrio gli devia il coltello. Poco, verso sinistra. Quel tanto che basta per affondare non nel solco della colonna vertebrale di un animale, quanto sul dito pollice di Gino, lì a tenere ferma la bestia morta per divaricarla e spaccarla meglio. Nella ferità s’infila un batterio, che trova più fertile la carne viva di quella morta. 


Gino torna subito a lavoro, ma ha addosso una stanchezza strana, piccole esitazioni, una differente curiosità negli occhi e nelle mani: è l’inizio della disgregazione, l’origine del caos. Che per contingenza delle cose, qui contingenza delle carni, ha un nome molto chiaro: linfosarcoma. La disgregazione cambia animale: è quella del padre, della carne del padre, del corpo del padre, visto dagli occhi di chi da quel corpo è stato generato. E mentre i medici provano a curarlo, e va fino a Villejuif in Francia, il senso delle traiettorie e degli interi inizia a perdersi. E Gino a morire. E Dario è lì. E poi non lo è, quando serve, quando non serve ma vorrebbe, quando è finita, è morto, è freddo. 


E poi ci siamo e non ci siamo noi che leggiamo. Accompagnati da questa scrittura che dilata un’istante, pone l’eternità in un’istante, e in qualche modo lo rende corale – la voce di un singolo, di Dario, è quasi una terza persona, è quasi di ognuno, è quasi di divina, è il vociare del mercato, è l’urlo di tutti i nostri dolori e di tutte le nostre domande. E qualcosa è inventato e nulla scuote la trama, che poi è la vita, e la vita non ha un gran senso narrativo. Ma per fortuna ci sono le storie. Che tramandano i gesti dei padri e dei figli, e li ordinano, e governano persino il senso della fine, come in una sessione di free jazz, che poi è questo libro, che anche se sai come va a finire non sai come potrai abitarla tu, questa fine. Questa vita.


Ci guardiamo, lei e io, in silenzio. Poi lei mi dice che lui mentre moriva ha detto: “Salutatemi Dario.” Questo blocca immediatamente l’ordigno che stava scendendo in me e che ormai era quasi arrivato al punto e stava per deflagrare. Lo ferma lì, dove è tuttora, ma io ci sono ancora. Ci sono ancora e quello che mi sembra l’atto più simile alla preghiera posso permettermelo solo rivolgendomi a lui, a nessun dio fasullo di quelli che conosciamo e nemmeno al dio di pura luce raccontato dalla gnosi e che non conosciamo, scintille del quale starebbero in noi: quel dio di luce non può conoscere il buio, non può conoscere il freddo. Mi resta lui, a cui chiedo parcamente le cose impossibili nella logica di qua, nella metafisica di qua, di come vanno le cose qua.


Invernale
dice qualcosa di come Dario Voltolini ha scelto di abitare entrambe, ed è meraviglioso e rassicurante poterci stare dentro, a sentirsi meno soli. Il libro genera una forza espressiva perfetta, pulsante e intelligente, che raccoglie la tradizione dei grandi e la disperazione dei mortali, e ne fa un pensiero esatto, da custodire. Da ringraziare, per le parole, per la preghiera laica che plasmano. Vien voglia di portarla strettissima in quella zona dentro che non si sa mai dire, eppure c’è, e cerca pace. E a volte, fortunate volte come questa, la trova.

 
Recensione a cura di Francesca Peligra

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Conosci l'autore

Dario Voltolini

1959, Torino

È autore di numerose raccolte di racconti, romanzi, volumi illustrati, radiogrammi, testi di canzoni e libretti per il teatro. È stato docente e direttore della “Scuola Holden – Storytelling and Performing Arts”, curatore della collana di libri “Holden Maps” per Rizzoli, della collana di narrativa italiana Pennisole per Hopefulmonster editore, collaboratore dell’“Indice dei libri del mese”, di “Pulp” e della “Stampa” (“Tuttolibri” e “TorinoSette”), cofondatore dei blog letterari “Nazione Indiana” e “Il Primo Amore”. Fra i suoi libri ricordiamo: Un'intuizione metropolitana (Bollati Boringhieri, 1990), Rincorse (Einaudi, 1994), Forme d'onda (Feltrinelli,...

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