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Studio attento su di un argomento assai vasto e con molteplici aspetti e sfumature. L'autore ci guida con attenzione e linguaggio scorrevole, come se ci muovessimo all'interno di una chiesa medievale, alla scoperta delle opere d'arte e di carità pensate per assicurare preghiere e intercessione al committente.
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Nel 1348, l'anno della peste, un notaio lucchese fa testamento, disponendo che, con i suoi beni, per la salvezza dell'anima sua e dei suoi parenti, siano dipinte due immagini lignee della Vergine e dei santi Bartolomeo e Tommaso, da collocare in due chiese sottoposte al suo patronato: in esse dovranno essere raffigurati il testatore stesso, la moglie e i figli genuflessi, nonché gli stemmi della famiglia e il suo nome. Appare evidente la connessione tra il desiderio di preservare in qualche modo la memoria di sé e della propria famiglia, e la volontà di ottenere preghiere di suffragio per la propria anima da coloro che contempleranno tali immagini.
Se il desiderio dei gruppi sociali e degli individui di tramandare ai posteri un'immagine di sé e del proprio status sociale, e di coinvolgerli in un percorso spirituale che salvaguardi la memoria dei defunti, appare come un motivo di lunga durata della cultura occidentale, esso va indagato, al di là dell'individuazione in termini antropologici di una "costante", nelle sue concrete manifestazioni storiche: e il volume di Michele Bacci rappresenta un valido contributo in tale direzione. L'autore esamina la diffusione, a partire dal Duecento, della committenza di pale d'altare e di intere cappelle mediante lasciti testamentari, nel quadro del più generale fenomeno dell'"economia dell'aldilà", e in rapporto alle modalità organizzative dello spazio sacro di chiese e conventi, sempre più chiaramente articolato in distinti settori riservati a chierici e laici, uomini e donne, e investiti da un diverso tasso di "sacralità". Nel secoli del medioevo la memoria del defunto, non ancora percepita come un valore del tutto autonomo, ma finalizzata al conseguimento della sua salvezza eterna, si traduceva in preghiere e riti che cercavano di "prolungare in un certo senso la sua esistenza mantenendo viva l'efficacia delle sue buone azioni".
L'autore, ben consapevole del fatto che "lo spazio sacro e il suo decoro artistico e figurativo costituissero in quell'epoca il punto di riferimento simbolico di un'intera cultura", cerca di guidare il lettore durante quella che appare sotto molti aspetti come un'esperienza di "straniamento", in quanto l'aspetto e la funzionalità di un edificio sacro tardo-medievale apparivano ben diversi rispetto a quello di una chiesa odierna, e oggi molte opere d'arte di epoca medievale, trasferite nei musei, ""hanno subito una completa decontestualizzazione" rispetto alla cappella e all'altare al quale erano state originariamente associate per volontà del committente.
Inoltre, i lasciti pii a favore di istituzioni ecclesiastiche e di singole cappelle e altari risultano pienamente comprensibili solo in rapporto a un'"economia del dono" che prevedeva una qualche forma di "controprestazione" spirituale, come la preghiera per l'anima del donatore e la celebrazione del suo anniversario. Le disposizioni con le quali un usuraio cercava di "mettere a posto" la propria coscienza si traducevano spesso in offerte generiche, ispirate non tanto dalla volontà di risarcire le vittime, quanto piuttosto dal desiderio di "rimettere in pari la bilancia della propria anima per mezzo di buone azioni in grado di neutralizzare le cattive commesse in vita", secondo una logica latamente "economica", che considerava le elargizioni ai poveri e alle chiese come un investimento, i cui benefici sarebbero stati goduti nel Regno futuro. Un'interpretazione in chiave puramente funzionalistica appare comunque insostenibile: se talora lo status sociale del defunto veniva evidenziato mediante l'ostentazione dello stemma familiare sul sepolcro, in altri casi l'immagine veniva dipinta all'interno della tomba, e risultava quindi invisibile a occhi umani, per cui l'"interlocutore" poteva essere soltanto Dio o un santo, nella sua funzione di intercessore ultraterreno.
L'autore formula interessanti osservazioni sui criteri che guidavano la scelta dei soggetti iconografici (nella quale intervenivano esigenze liturgiche, ma anche specifici orientamenti devozionali del committente); sulle modalità di presenza, in tale immagine, del committente stesso, progressivamente collocato accanto al personaggio sacro; sull'ubicazione dei dipinti che dovevano attirare lo sguardo dei fedeli, per procurare il maggior numero possibile di preghiere a favore del committente defunto. L'autore avanza con discrezione l'ipotesi che nelle rappresentazioni della commendatio animae venga emergendo un maggior senso dell'individualità: ma ciò non si traduce automaticamente in un processo di individuazione fisionomica e nella nascita del "ritratto" moderno, anche se negli ambienti aristocratici si cominciano a realizzare calchi in cera del volto del defunto.
La ricerca condotta da Bacci consente di correggere l'idea di un'irresistibile ascesa del "laicato" e dei valori "secolari": è all'interno stesso di un comune linguaggio religioso che occorre cercare le spie di una tensione tra le diverse esigenze di individui-committenti (talora desiderosi di sottolineare il loro ruolo sociale, ma soprattutto di raccomandarsi alla protezione di Cristo e dei santi), famiglie, enti ecclesiastici, artisti sempre più desiderosi di affermare la propria individualità.
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