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Ho letto "Io che miro il Tondo" e sono rimasta folgorata! Mi è piaciuto tutto di questo libro: la trama, i personaggi, il modo di scrivere: tutto è davvero originale ed avanti anni luce. La storia, stravagante e visionaria: il finto galeone dove svariati personaggi pittoreschi partono da Santa Cruz (Santa Croce Sull'Arno) per improbabili o probabili missioni verso luoghi avventurosi ed immaginari. Le serate estive passate in altrettanti variopinti locali, con contorno di pirati, musicisti e malavitosi sui generis. Mi piace tantissimo il suo modo di scrivere: i verbi inventati da lui, ( un po' come fa la mi' mamma, a detta del mio uomo) le parole artefatte....il suo incedere nel portare avanti l'azione veloce e frizzante. E' uno stile giovanile, visionario e coraggioso, libero e al di fuori di ogni clichè: non si può paragonare a nessuno, perchè nessuno ha mai avuto un'idea così. Questo romanzo pone Don Backy come grande romanziere europeo; noi lo conosciamo prevalentemente come cantante, musicista e compositore, ma vale la pena leggere questo suo libro per entrare davvero in un mondo magico ed incantevole, una storia senza tempo ( a tratti mi ha ricordato le strampalate storie di Pippi Calzelunghe), dove tuttavia l'autore non rinuncia con il suo fine umorismo mai becero ( come succede a tanti toscani...) e mai scontato a raggiungere l'animo in profondità. Si percepisce a tratti anche il suo vissuto: tutte le cose che gli succedevano in bene e in male durante quegli anni, splendori ed oscurità che convergono in una continua avventura e in continue emozioni. Il tutto ci pone anche a svariate riflessioni: sulla vita, su un certo mondo dorato e patinato, dove lui è entrato, sugli umani ed i loro imprevedibili comportamenti. Da quanto è bello, penso proprio che me lo rileggerò, non fosse che per ridere di quei termini non-sense che lui adopera, i verbi coniati da lui, i controsensi demenziali e gli incredibili giochi di parole! Una boccata d'aria fresca in mezzo al p
Si narra che Feltrinelli si portò il romanzo a Cuba e al rientro decise di pubblicarlo, nel 1967, tal quale, senza alcuna modifica. Forse pensava che con questi pasticci linguistici, verbi violentati (un po’ copiati da Dante) e neologismi impossibili Backy volesse scardinare non solo il lessico, ma anche l’andazzo socio-politico instaurato in Italia dal lungo strapotere della DC, come aveva fatto Fidel contro il dittatore Batista a Cuba. Forse nel 1967, quando apparve, poteva avere una valenza del genere. Riesumato quasi 50 anni dopo, non sono sicuro che oggi possa essere accolto favorevolmente. Prima di tutto perché non c’è una storia vera e propria, un filo narrativo ben intrecciato, bensì perché è un’accozzaglia di impressioni, visioni oniriche forse indotte da allucinogeni, situazioni assurde che si svolgono all’improvviso in diverse parti del mondo (non identificabili) al confine con la realtà (infatti irreali). E’ da notare che nello stesso 1967 fu pubblicato Eros e Priapo, uno dei capolavori di Gadda (assieme al celebre La Cognizione del Dolore e al famoso Quer Pasticciaccio Brutto de via Merulana). Tutti e tre sono una violenta denuncia del fascismo e un furioso attacco a Mussolini, che viene vilipeso con numerosi insulti e nomignoli. E questi romanzi/saggi sono anche un laboratorio linguistico nel quale Gadda scatena tutta la sua capacità mimetica e parodica, adottando frequentemente le cadenze e il vocabolario di scrittori del Duecento fiorentino ma anche della prosa toscana del cinquecento. Tale virtuosismo linguistico e sintattico, una specie di "barocchismo" basato sull'uso di più livelli di scrittura (dal dialetto popolare all’introduzione di termini arcaici fino all’invenzione di vocaboli) aveva uno scopo socio-politico ben preciso, che non si trova per nulla in Backy. La riesumazione di un cadavere può essere pericolosa: rispetto al titolo del romanzo poliziesco di Gadda in via Merulana, restano qui solo due parole: “Pasticciaccio brutto”.
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