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Chi, anche solo per una volta, ha apprezzato il silenzio e l’incommensurabile bellezza dei paesaggi abruzzesi coglie sicuramente il lirismo dell’opera di Paolo Ferro “Io mi ricordo”, dedicata a tratteggiare i colori della sua infanzia con gli strumenti della riflessione successiva. Un testo che racconta l’anima abruzzese, la sua infinita propensione alla bontà e alla ricchezza interiori, sottolineate dal merito di considerare il silenzio come virtù e occasione di ascolto, di se stessi e degli altri. L’Abruzzo forte e gentile, la cui natura incontaminata e millenaria si specchia nel mare, così vicino alle vette che dalla riva, nelle belle giornate, è possibile ammirare i profili dei massicci più imponenti. Un bambino cresce all’interno di una grande conca fertile delimitata dai monti, in passato imponente lago che aggiungeva barriere a barriere, trasformando però l’isolamento da limite a occasione di autonomia per le antiche genti italiche. Antiche genti capaci di far passare i feroci guerrieri romani sotto le forche caudine. Fierezza che ancora oggi lascia segni e tracce, per chi riesce a coglierle. Leggende millenarie e costruzioni della realtà che l’autore apprende dal racconto della nonna e degli anziani del paese, storie che porterà dentro per l’intera esistenza e che gli daranno l’humus su cui fioriranno, nell’età adulta, le riflessioni alla base della sua visione del mondo. Non so se siano felici le persone che riescono a sviluppare autonomia di pensiero in modo così profondo; so che difficilmente si fermeranno a cercare quello che sfugge a tutti e che in molti, in troppi ultimamente, fanno tacere con il conformismo più bieco. “L’io e Dio si incontrano sui monti, dove si è spettatori del silenzio “ sentivo dire da quelle persone. Avevano ragione. Quando salgo mi avvicino al cielo. Testardo come un montanaro. Alla ricerca. Si cerca sempre qualcosa che si porta dentro, che si ha in cuore, che è scesa prima di noi per la lunga scala del silenzio..."
Già il titolo dice molto, perché quel “ Io mi ricordo” è una riscoperta nei meandri della memoria di un tempo passato, quello dell’infanzia dell’autore. Ma questa narrazione autobiografica è molto di più di un semplice ripasso di fatti ed eventi accaduti tempo fa, perché è un’opera volta a rispondere a tante domande sulla vita e sul suo mistero, soprattutto con una graduale percezione del proprio “io”. Oserei dire che è una scrittura dell’anima, della componente nascosta in noi e che opportunamente stimolata si rivela in tutta la sua grandezza e in tutta la sua capacità di colloquiare oltre il tangibile, avvicinandoci inconsciamente all’Assoluto. Diviso in capitoletti che presentano la piacevole caratteristica della consecutività, grazie al fatto che ognuno termina con un concetto che poi viene ripreso all’inizio del successivo, questo libretto di 128 pagine ha il pregio non trascurabile di avvincere con gradualità, perché è come se l’autore, sempre presente, fosse lì davanti a noi, con i suoi ragionamenti, con le sue riflessioni che partono dal ricordo analizzato con la coscienza del presente. Pagina dopo pagina cominceremo a riflettere anche noi, a cercare di rispondere alle domande di un bambino ripescate dalla memoria con l’esperienza di un adulto. Ci accorgeremo così che sono quesiti che inconsciamente ci poniamo e a cui o diamo risposte scontate o non le diamo affatto. Condotti per mano con intuizioni poetiche ci lasceremo affascinare da questo dialogo della memoria e riscopriremo anche la nostra, ci sentiremo uniti con l’autore, testimoni di un percorso da svelare insieme. Nell’apprendere o nel ricordare di come si faceva il pane in casa, oppure di come si giocava, ritornerà un pezzo della nostra vita, con la consapevolezza che ora siamo così perché allora eravamo così. Io mi ricordo, di Paolo Ferro, è un autentico gioiello, da leggere e da meditare, e che ha il pregio di infondere tanta serenità.
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