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Un protestante liberale di primo Ottocento, lo svizzero Simonde de Sismondi, espose alla fine della sua importante e fortunata Storia delle repubbliche italiane nel Medio evo l'idea che ogni grandezza, ogni onore e gloria fossero scomparsi in Italia dopo il 1530 (data, anche simbolicamente pregnante, della definitiva caduta della Firenze repubblicana di fronte all'esercito ispano-pontificio dei Medici), per lasciar posto al vergognoso nostro asservimento allo straniero e al papato della Controriforma. Egli suggeriva così un tema e una periodizzazione destinati a occupare poi in modo perfino ossessivo i patrioti e gli scrittori del Risorgimento, come appare per esempio ancora ben evidente in quel testo chiave della coscienza nazionale che fu, nel 1870, la Storia della letteratura italiana di Francesco de Sanctis.
In questo suo libro, ricco e piacevole, Erminia Irace ha scelto di percorrere un cammino più lungo, e meno condizionato dalla declinazione propriamente politico-nazionale della questione della gloria italiana, accingendosi a ricostruire molti aspetti della cultura e del culto degli uomini illustri in Italia dall'Umanesimo al fascismo. Nel coprire un così ampio arco temporale in un numero di pagine compatibile col profilo editoriale della collana che ospita il suo lavoro ("L'identità italiana"), l'autrice non solo dipende ovviamente dalla bibliografia specifica sui vari argomenti e periodi, ma è anche stata portata a privilegiare con trattazioni più approfondite alcuni episodi singoli, proposti come particolarmente illuminanti: un progetto di pubblici sepolcri elaborato dal Comune di Firenze nel 1396, le esequie di Michelangelo nel 1564, la fortuna di Machiavelli nella Toscana delle riforme di Pietro Leopoldo, le celebrazioni dantesche dell'Italia unita nel 1865, la vicenda della costruzione dei busti al Pincio fra Otto e Novecento, il grande festeggiamento clerico-fascista di San Francesco nel 1926.
La principale linea di continuità ravvisabile nella lettura di Irace è la sua convincente messa a fuoco della centralità del tema del rapporto fra uomini illustri e orizzonte cittadino. Di impronta civica fu naturalmente il canone della corona dei tre grandi, Dante Petrarca Boccaccio, affermatosi a partire dall'ambito e dall'età umanistici. Ma quell'impronta era ancora assai presente nelle Vite del Vasari, specie nella molto fiorentinocentrica prima edizione del 1550. E un orgoglio schiettamente municipalistico, ormai di decisa marca conservatrice, animò tanti accademici elogi settecenteschi, estranei e ostili alla cosmopolitica idea illuministica della grandezza come utilità sociale. Prima dell'Ottocento, insomma, neppure la letteratura sembra aver avviato il superamento della caratterizzazione locale delle itale glorie.
Ma l'identità e la politica nazionali irruppero allora con forza travolgente a caricare di nuove implicazioni una tradizione secolare. A questo proposito, un grumo di questioni capitali viene trattato, necessariamente in forma un po' compressa, nell'ultima parte del libro. Con Foscolo si aprì la fase patriottica del culto degli uomini illustri, ma anche la contraddizione, destinata poi a restare sostanzialmente irrisolta, fra gli ideali democratici e l'elitarismo dell'esaltazione dei grandi. La stessa popolarità dell'immagine di Garibaldi fu poi piegata da Crispi, massimo artefice del pantheon dell'Italia unita, entro un quadro ossequiosamente monarchico, gerarchico e reazionario. Questo pantheon soffrì del resto sempre di una debolezza di fondo, derivante dalla sua ispirazione prettamente laica, in contrasto stridente con la profondità del sentimento cattolico del popolo italiano. Solo il fascismo, fondendo con una sintesi spregiudicata il mito di Roma antica e la devozione per i santi di quella moderna, riuscì infatti a elaborare un'ideologia esemplare della grandezza, capace di rivolgersi a un pubblico più vasto di quello costituito dalle classi colte e dirigenti.
Con questa sintetica e notevole presentazione di temi e problemi rilevanti per la nostra storia culturale, che si chiude con l'equazione - cui avrebbe forse giovato un maggiore respiro - tra la fine del culto delle itale glorie e la caduta della repubblica di Salò, Irace tocca un nodo cruciale della fisionomia del processo di nazionalizzazione delle masse nell'Italia contemporanea. Una certa sottovalutazione, qui forse riscontrabile, verso il mondo operaio e socialista non toglie che la vicenda del culto dei grandi uomini ricostruita in questo libro riproponga in modo interessante i termini dell'andamento di una storia più generale. La capacità ripetutamente messa in opera dai reazionari di mobilitare il popolo al richiamo di parole d'ordine efficaci e di modelli umani attraenti non è stata complessivamente controbilanciata dal successo di una mitologia democratica coerente, penetrante e, soprattutto, largamente condivisa. È un divario con cui ci troviamo ancora alle prese.
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