C'è qualcosa di straordinariamente insolito nei libri di Alcide Pierantozzi: una grazia luminosa e abbacinante e allo stesso tempo la capacità di spaventare, di frastornare, di distruggere con prepotenza ogni certezza. L'autore aveva già dimostrato questa abilità con Uno in diviso (Hacca, 2006), un romanzo feroce, dedicato alla memoria di Pier Paolo Pasolini, che aveva rivelato tutto il suo talento, e successivamente con L'uomo e il suo amore (Rizzoli, 2008), romanzo denso e complesso, in cui il linguaggio filosofico e quella della narrativa si univano per dare vita a un audace viaggio nel mondo della letteratura. Con Ivan il terribile Pierantozzi cambia coordinate tematiche e plasma una spietata parabola adolescenziale che affronta temi quali la deriva dei valori familiari, l'ambiguità dei sentimenti, la vita nei paesi di provincia e il dolore. Ma alla base di questo romanzo ci sono soprattutto due motivi: la morbosa diffusione della letteratura vampirico-amorosa e l'eccessiva spettacolarizzazione dei sentimenti alla quale ogni giorno i talent showci sottopongono. La storia è ambientata a Roccafluvione, un piccolo borgo di circa tremila abitanti nell'entroterra marchigiano, un paese dominato dai campi e da un natura selvaggia, "l'ultimo posto in cui un quindicenne si augurerebbe di vivere", un luogo ai confini del mondo "dove tutto può succedere". Il primo personaggio presentato è Federico Guerini, appena arrivato in paese da Trieste. Federico ha un volto un po' da angioletto, un po' da demonio, i capelli ricci, legge Proust, sogna di diventare regista con un film sul vampiro Bela Lugosi, e porta dentro di sé l'immenso dolore di una famiglia disastrata: il padre è sempre impegnato con l'allevamento di cavallucci marini, mentre la madre, artista di fama internazionale, si dispera per la morte della propria figlia. Altro personaggio principale del romanzo è Sara, una ragazza brutta, sgraziata, che si veste come un maschiaccio. Vive in una capanna che il comune ha regalato alla madre per compassione, dopo che il marito si è venduto la vecchia casa ed è andato a vivere a Cuba con una puttana. Il suo desiderio più grande è quello di diventare un campionessa di ippica. È proprio attorno alle orbite sentimentali di questi due ragazzi che ruota "Ivan il terribile", il bullo del paese. Ivan è appena uscito dal carcere minorile di Casal di Marmo dopo essere stato condannato per spaccio, o almeno così si dice in paese. È brusco nei modi di fare, ignorante ed emarginato. Ha una pelle olivastra e due occhi "verde Caraibi" pieni di odio e astio dietro ai quali, in realtà, si nasconde un universo di tenerezza e dolore: non vede sua madre dall'età di quattro anni e suo padre, proprietario di un maneggio, è un tipo arrogante e austero. Attraverso una prosa nevrotica e l'utilizzo della forma del dialogo, Pierantozzi ci guida nei tortuosi meandri di questi tre ragazzi. All'inizio Ivan sembra odiare sia Federico che Sara: al primo assesta un pugno in faccia, alla povera ragazza, che ha ribattezzato con il nome di "Mula", piscia in faccia. Con il passare del tempo i rapporti cominciano però a migliorare. Ivan, infatti, mostrando tutta la sua tenerezza e i suoi desideri, finirà per fare innamorare di sé entrambi i ragazzi. Sara e Federico, sia per vendicarsi di ciò che Ivan aveva fatto loro, sia per trascorrere del tempo con lui, decidono di ingannarlo, di fargli credere che la sua cantante preferita, Mariah Carey, si recherà a Roma per registrare un videoclip, convincendolo così a partire per un viaggio verso la capitale. Un viaggio, fatto di odio e amore, di vita e morte, che sarà devastante e che cambierà per sempre la vita dei tre adolescenti. Ivan il terribile è un libro luminoso perché parla di un amore ingenuo e raggiante, ma allo stesso tempo è un libro perturbante quando racconta del dolore che esso può provocare. Inoltre, non è privo di riflessioni penetranti, quasi filosofiche. Una delle più interessanti è sicuramente questa: "La maggior parte della gente è convinta che la morte di qualcuno che abbiamo amato sia la cosa più dolorosa che può succedere. Secondo me invece non è la scomparsa in sé a fare male, penso sia più una questione di egoismo. Alla fine vogliamo tutti che le cose restino sempre identiche a come sono, anche quelle brutte. E solo quando muoiono cambiano, e allora cambiamo un po' anche noi". Fondendo lo stile sincopato dei racconti di Salinger e le terribili fascinazioni di Stephen King, Pierantozzi ha dato vita a un romanzo che apre squarci abissali nell'animo del lettore. Daniele Rubatti
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