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scheda di Dalmotto, E., L'Indice 1998, n. 9
Il libro inaugura una serie di volumi della collana "Civiltà del diritto" destinati a raccogliere le sentenze più importanti della Corte Suprema degli Stati Uniti d'America. Ciascun titolo sarà dedicato a un "Chief Justice" quale esponente dell'indirizzo giurisprudenziale da lui impresso.Era dunque naturale che si iniziasse da John Marshall: fu infatti nel corso della sua lunga presidenza (dal 1801 al 1835) che vennero al pettine i problemi di base del nascente ordinamento americano.La questione fondamentale da risolvere riguardava il ruolo dei giudici. Essa fu affrontata nella celebre decisione resa in Marbury v. Madison (1803), dove si affermò il principio - avversato da chi sostiene l'assoluta preminenza del legislatore - secondo cui il potere giudiziario include quello di disapplicare le leggi trovate incostituzionali. Ma c'era anche da risolvere il problema dell'assetto federale degli Stati Uniti.Ed esso fu affrontato in due altrettanto celebri decisioni. Una è Fletcher v.Peck (1810), in cui la Corte decretò per la prima volta, dopo aver stabilito in Marbury v. Madison l'incostituzionalità di una legge federale, l'incostituzionalità di una legge statale, in quel caso della Georgia.L'altra è Cohens v. Virginia (1821), in cui Marshall riaffermò la tesi, già espressa in Martin v. Hunter's Lessee (1816) per bocca di Joseph Story, secondo cui i singoli Stati non possono essere visti come illimitatamente sovrani nei confronti della Federazione, cosa che sul piano del potere giudiziario si traduce nel diritto della Corte Suprema federale di riesaminare le sentenze delle corti statali. Insomma, l'antologia curata da Giuseppe Buttà offre il destro per leggere, nella traduzione di Annagrazia Bassi, le pietre miliari del diritto costituzionale americano e soddisfa la curiosità di conoscere quali siano state le vicende concrete, spesso tanto modeste quanto vivide, dalle quali sono scaturite pronunce che sfidano i secoli.
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