Kassel non invita alla logica si apre, appunto, con il prototipo della negazione di qualsiasi logica: il mcguffin, oggetto o personaggio che attira l'attenzione del lettore di un libro o dello spettatore di un film e lo distrae dal vero centro della trama, guidandolo in un vicolo cieco, perché il dettaglio in questione è in realtà del tutto alieno all'opera in cui è inserito. Gli esempi nobili che fa Vila-Matas nelle prime pagine del suo romanzo sono tratti da Psycho di Hitchcock, dal Falcone Maltese di John Houston e da Un maledetto imbroglio di Pietro Germi, ispirato al Pasticciaccio di Gadda. Finché accade qualcosa di sconcertante: Vila-Matas, narratore-protagonista, viene invitato a cena dai signori McGuffin, una coppia che in realtà non esiste e che lascia il campo a María Boston, "una ragazza luminosa, alta, dai capelli neri, molto neri, un vestito rosso e meravigliosi sandali dorati", a sua volta assistente di Carolyn Christov-Bakargiev e Chus Martínez, curatrici di dOCUMENTA, uno degli eventi più importanti dell'arte contemporanea, che si tiene ogni cinque anni a Kassel. Maria Boston è latrice dell'invito allo scrittore a partecipare alla manifestazione. Nota per i lettori: Carolyn Christov-Bakargiev e Chus Martínez invece non solo esistono davvero, ma sono state anche le curatrici della tredicesima edizione di dOCUMENTA, tenutasi dal 9 giugno al 16 settembre 2012; e Vila-Matas è stato realmente invitato a quell'edizione. Come spesso accade con l'autore catalano, dunque, la realtà emerge quando sembra finzione, e viceversa, e l'umorismo più sottile traccia la linea dell'assurdo che pervade la nostra percezione dell'esistenza. Il gioco di specchi e di sostituzioni va avanti per tutto il libro, come in un poema di Ariosto, nel quale nulla è davvero come appare: se María Boston è l'alter ego sia degli inesistenti signori McGuffin sia delle due curatrici, l'enigmatica Pim Durán è assistente dell'assistente, alter ego di María Boston, e l'ancor più misteriosa Alka ("talmente bella ed esotica, così irrimediabilmente sexy") è l'alter ego di Pim Durán. L'arrivo di Vila-Matas a Kassel è un delirante rondò di equivoci e incontri mancati, nel quale ogni alter ego si presenta al posto della persona attesa. Eppure da quel momento in poi tutto diventa vero, proprio quando la narrazione di Vila-Matas sembra mostrarcelo irreale: le opere descritte sono davvero quelle presenti nel catalogo di dOCUMENTA 13, come pure gli artisti che le hanno realizzate. Risponde così a realtà la descrizione che Vila-Matas fa di Scaffold, impressionante installazione del californiano Sam Durant: un patibolo di legno alto dieci metri e largo quindici eretto nel mezzo del Karlsaue Park: "Quel luogo così orripilante era pieno di bambini: si arrampicavano sulla grande forca confondendola, me lo spiego così, con un parco dei divertimenti. Nel futuro, il mondo sarà di questi bambini e assomiglierà a un criminale parco giochi". È altrettanto vero The Refusal of Time di William Kentridge, esposto tra l'altro pochi mesi fa anche nel MAXXI di Roma: un sistema di proiezione su cinque canali video di figure disegnate dall'artista sudafricano con l'aggiunta di grandi megafoni e di una macchina respiratoria a forma di elefante ("Diedi per scontato che l'opera di Kentridge mi sarebbe piaciuta... un'esplosione di musica, immagini, ombre cinesi, con una macchina della memoria leonardesca che faceva scivolare il visitatore in una dimensione epica e favolosa, in cui il tempo finiva per essere annullato"); e così Momentary Monument IV della torinese Lara Favaretto, una collezione di rifiuti nella zona della stazione centrale ("criminale montagna di ferri vecchi affilati"). Più di tutte colpiscono Vila-Matas, narratore e visitatore smarrito, due opere. Una è This Variation dell'anglo-tedesco Tino Sehgal, che torna a vedere più volte: "Avanzai per la stanza buia senza vedere nulla e senza avvertire la presenza di nessuno (…). Non tardai a verificare che non ero solo. All'improvviso qualcuno che sembrava più abituato di me all'oscurità di quel luogo mi passò di fianco e mi sfiorò intenzionalmente la spalla (…). Uscii di lì pensando che era stato tutto più che curioso e che, a seconda di come lo si guardava, risultava terribile verificare l'importanza del fatto che una sconosciuta o uno sconosciuto ti sfiorassero la spalla". L'altra è The Invisible Pull dell'inglese Ryan Gander, che lo convince dell'irrimediabile distanza dell'arte contemporanea da qualsiasi materia e dallo stesso gesto tradizionale del facere, trattandosi, con le parole del catalogo ufficiale di dOCUMENTA 13, di "una gentile brezza che trascina lo spettatore attraverso lo spazio della galleria del Fridericianum". Ovvero, nel commento di Vila-Matas: "Geniale, pensai immediatamente. Qualcuno firmava una corrente d'aria. Meraviglioso". Lo scrittore è invitato a esser parte di un'installazione, On Retreat: Chorality, a Writer's Residency. In sostanza deve recarsi ogni giorno al ristorante Dschingis Khan, in una zona periferica della città, e lasciarsi ammirare dal pubblico mentre scrive, legge o medita. Null'altro. Può dirsi che il romanzo di Vila-Matas sia un'irrisione del sistema dell'arte contemporanea? Sì e no. È vero, l'autore si burla di una certa vacuità del sistema, dell'impossibilità di definire oggi che cosa sia arte e dunque del rischio che quest'ultima si autodefinisca, ovvero che qualsiasi manifestazione umana, se dichiarata arte da un curatore affermato, in un contesto riconosciuto e con adeguato sostegno finanziario e propagandistico, sia considerata (o diventi) tale. Tuttavia – e non credo che Vila-Matas possa esserne inconsapevole – con la sua gustosa narrazione lo scrittore celebra e realizza ciò che sembra negare: crea, in altre parole, un'opera d'arte contemporanea. E lo fa non tanto con la performance raccontata nel romanzo, che in fondo è una creazione di Carolyn Christov-Bakagiev di cui Vila-Matas è semmai esecutore, se non una mera componente materiale, quanto con la costruzione concettuale che tesse attorno alla sua partecipazione e dunque con la contestualizzazione della medesima. Nello stesso istante in cui insomma si dice scettico della sopravvivenza dell'arte nella contemporaneità dominata dalle fiere e dalle biennali, dimostra paradossalmente di credervi ancora. Nel raccontarla, e con le emozioni che descrive, ne individua la ragion d'essere. Per dirla con Chus Martínez: "Nell'arte non si innova, lo si fa in un'industria. L'arte non è creativa né innovatrice. Lasciamo queste cose al mondo delle scarpe, delle automobili, dell'aeronautica; è lessico industriale. L'arte fa, e ora cavatela da solo".