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Anno edizione: 2019
Anno edizione: 2020
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Con la nuova traduzione di Maurizia Balmelli, uno dei più grandi successi della teoria queer e femminista degli ultimi anni, tradotto in sedici paesi, con oltre duecentomila copie vendute solo in Francia. Crudo, arrabbiato, autobiografico, il grido di Despentes è sempre più attuale.
Un testo cruciale per molti aspetti, il primo saggio pubblicato da Virginie Despentes è un moderno manifesto femminista che devasta l’ordine sociale contemporaneo nel quale i corpi delle donne sono a disposizione degli uomini. Muovendo dalla sua esperienza personale – una giovinezza che descrive come “virile” nei circoli punk, uno stupro a 17 anni, un periodo di prostituzione, prima del successo come romanziera –, la scrittrice e regista di Nancy, traccia in poco più di cento provocanti pagine una figura femminile eccentrica, ribelle, refrattaria a conformarsi alle norme di genere. Un libro che è tutt’ora un manifesto di liberazione per tutte quelle donne che non si sentono rappresentate, “le brutte, le vecchie, le camioniste, le frigide, le malscopate, le inscopabili, le isteriche, le tarate, tutte le escluse dal mercato della gnocca”.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
È un libro graffiante, impietoso, crudo, diretto; un testo breve eppure dirompente, letto il quale non si è (per forza di cose) gli stessi di prima. Despentes è una femminista radicale, con una posizione piuttosto netta sui temi che affronta (tra gli altri, la pornografia, lo stupro, la bruttezza e la bellezza, il desiderio), e paradossalmente è questa la forza del suo saggio: che si sia d'accordo o meno con la sua opinione, leggerne una talmente radicata e consapevole come la sua non può che spingere alla riflessione. Bellissimo, lo leggo e rileggo da quando l'ho preso in mano per la prima volta.
Consiglio questo libro a chi vuole leggere le parole di una vera femminista, di una donna che usa la rabbia che ha in corpo per scioccare davvero perché racconta la realtà delle cose, di ciò che è stata la sua vita. Ci sono in giro molti libri che provano a trattare di questo argomento, ma questo libro rompe le parole e strappa le pagine. Lo adoro.
Per quanto ormai inflazionata la dicitura di "libro necessario", non c'è altro modo per descrivere King Kong theory: necessario per capire la contemporaneità, quello che viviamo ogni giorno e che ancora sentiamo a inquadrare. Informarsi e comprendere le dinamiche attuali della condizione della donna passa necessariamente per determinate letture, questa è una di quelle.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Non è mai stata esente da polemiche Virginie Despentes, scrittrice e attivista francese, in prima linea nelle lotte per la riscrittura del concetto di femminilità e dell’identità sessuale. Fin dall’uscita nel 1993 del suo primo romanzo, Scopami (Einaudi) a oggi, con il suo rinnovato urlo dal titolo King Kong theory (117 pagine, 15 euro) uscito nel 2006, pubblicato quest’anno in Italia da Fandango, con la traduzione di Maurizia Balmelli, il manifesto del nuovo femminismo affronta le tematiche tabù della prostituzione, della pornografia, dello stupro. Lo fa, come al solito, senza censure attraverso il racconto delle esperienze personali e sfidando il politicamente corretto.
All’analisi biopolitica delle donne investite dal ruolo di madri come principio naturale a fisiologico per il quale sono state generate risponde: «Investire la madre di tutte le virtù significa preparare il corpo collettivo alla regressione fascista. Il potere concesso da uno stato malato è necessariamente sospetto». Gli uomini rivendicano il loro dominio sulle donne che sempre più spesso, a loro volta, reclamano il diritto di essere altro, oltre che madri, dimostrandosi capaci di ricoprire compiti fino ad oggi appartenuti – di diritto – all’esclusivo universo maschile, in ambito lavorativo, culturale e sociale. Atteggiamento che, secondo gli standard di lettura antropologica maschilista, con un alfabeto maschio e maschilista, viene commentato come inconcepibile. Immagine questa che, di contro, verrebbe sottratta a quella rappresentativa dell’uomo. «Assegnare virilità al corpo femminile è mutilante tanto quanto quella tradizionale». Se agli uomini è stato assegnato il compito di dimostrarsi virili, esporre un coraggio anche quando non si abbia alcuna volontà e valorizzare una forza a prescindere dalla propensione caratteriale dunque, in cosa consiste la virilità? Come si traduce, concretamente, questo termine? «Tacere la sensibilità, vergognarsi della delicatezza e della vulnerabilità. Imbavagliare la sensualità».
I prototipi standard distribuiscono la società secondo una bipartizione cosmogonica degli uomini – maschi coraggiosi, indipendenti, forti e senza lacrime; donne madri, vulnerabili, casalinghe, gracili e dall’umore incerto. Nella sua dirompente analisi sociale e culturale, la Despentes inoltre analizza il sentimento della vergogna come strumento che induce alla passività il soggetto che la subisce. E, se lo stupro per le donne rappresenta il santo Graal delle azioni subite per il quale condannarsi, etichettarsi come infette, allo stesso modo per gli uomini lo è ammettere la propria omosessualità. In entrambi i casi, l’atteggiamento comporta l’alienazione sociale del soggetto, l’allontanamento dalla società. Despentes chiama questo atteggiamento sociale come “strategia della miopia” indotta e voluta da un sistema di controllo che in un primo momento induce la vittima a reagire, sdrammatizzando i termini con cui ci si riferisce all’atto dello stupro, per esempio, che liquiderà la violenza subita con la parola aggressione, o mantenendo segreta l’identità sessuale.
La società necessita di patologizzare la diversità o la violenza attraverso l’irreggimentazione, l’esclusione, l’abiezione. Il termine aggressione nel caso dello stupro, come scrive l’attivista francese, produce però confusione e questo perché «dello stupro non bisogna parlare, si deve essere terrorizzati». Se al contrario si decidesse di denunciare e ammettere quindi, di essere state stuprate, alla violenza subita si aggiungeranno il sentimento della vergogna e della mortificazione: come? Sciupandosi, ingrassando, sentendosi merce avariata. «Una donna stuprata è un furto con scasso». Ugualmente accade con l’ammissione della propria omosessualità. La società del politicamente corretto deve saper distinguere il buono dal cattivo, il giusto dall’errato. L’omosessuale, dall’uomo vero; la donna madre, dall’antimadre. Dunque, espropriati dei propri corpi, annullata qualsiasi tipo di autodeterminazione, secondo un’idea di politicamente corretto la vita degli individui deve essere addomesticata, ricondotta ad una vocazione patriarcale, forgiata in modo da essere funzionale ad un disegno sociale familista, eterosessuale, autoctono, con funzione produttiva e riproduttiva.
Tuttavia se lo stupro e l’omosessualità sono da “condannare”, i corpi in vendita in cambio di opportunità lavorative, le immagini di un’intimità esibita, provocazioni e allusioni sessuali sui tabloid pubblicitari, potrebbero non esserlo perché, secondo la Despentes, i termini con cui se ne parla e la letteratura di contorno a favore, non alludono all’idea che si ha della prostituta sui marciapiedi, ergo non è prostituzione, ma lavoro. Un tema sul quale aveva già discusso anche la giornalista Annalisa Chirico nel saggio dal titolo Siamo tutti puttane in cui sdogana un moralismo ipocrita e la doppia vita della morale pubblica e privata. La Despentes inoltre condannando le leggi Sarkozy in Francia, denuncia l’atteggiamento umiliante nei confronti della donna perché respingendo le prostitute fuori dalla città e relegandole nelle periferie, si mortifica l’essere umano. La prostituzione non deve essere esibita «Perché la prostituzione non deve banalizzarsi, né essere praticata in condizioni confortevoli». Un gesto simbolico traducibile nel più semplice “se non si vede, non esiste”, «la sessualità deve uscire fisicamente dall’ambito del visibile, del cosciente, del giudizio». Ancora una volta quindi la “strategia della miopia”: tenere fuori dal visibile. E tramite il corpo della donna, strumento fondamentale per l’elaborazione politica della mistica virile, il governo decide di spostare oltre i confini cittadini e dei benpensanti, il desiderio bruto degli uomini e i corpi lussuriosi delle antimadri.
L’urlo della Despentes nel saggio King Kong Theory giunge violento in tutte le pagine. Tuttavia, se da una parte risulta interessante e stimolante, tanto da indurre il lettore a riflessioni su questioni attuali, politiche, sociali e culturali, dall’altro la scrittrice pecca di rabbia e qualunquismo, perché se è vero che una società liberale non sopravvive senza regole e leggi che dovrebbero includere le scelte e le libertà di ogni individuo, è anche vero che non tutti seguono le leggi avventate e istintive della giungla come i gorilla, e in questo urlo che investe tutto e tutti, sembra che la Despentes abbia voluto épater le bourgeois.
Recensione di Margherita Ingoglia
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