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Racconto carino, con trovate divertenti, a volte spassose, e qualche banalita' di troppo. Peccato per un finale un po' gettato via...altrimenti qualche punto in piu' se lo sarebbe meritato...
Ambientato a Napoli nel '73, in una famiglia piccolo-borghese (quasi povera). Si respira l'aria di quegli anni mescolata a una napoletanità mai enfatizzata e al tema della diversità. L'autore non calca mai la mano. Romanzo godibile, ironico, ben scritto, non banale, con personaggi ben disegnati, si legge in poche ore.
Belle le digressioni sul vissuto familiare e napoletano del protagonista(l'occhialuto Peppino), su tutto la performance "nature" in tinello, sotto gli occhi stupefatti del nonno(quanto mi ha fatto ridere questa cosa)...Mi ha lasciato l'amaro in bocca invece la descrizione di Rosaria(la mamma di Peppino) lei semplice e buona in balia del furbastro del marito, e secondo me è qui che lo scrittore lascia il messaggio più forte ed emotivamente più forte del libro: la kriptonite non è altro che l'unicità e la bontà d'animo dell e persone apparantemente più fessacchiotte, ma capaci di distinguersi per la limpidezza d'animo. Da campano non potevo che apprezzare questo libro, gli altri chissà...spero di sì perchè lo merita
Recensioni
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Napoli, 1973. Peppino Sansone, sette anni. Rosaria, la madre, già aspirante insegnante e ora segretaria in uno studio di commercialisti, e Antonio, il padre, prima commesso e poi direttore in un negozio; i genitori campani di lei (Carmela e Pasquale), quelli friulani di lui (Rosa, un bel giorno, viene colta in flagrante dalla nuora: ha legato il nipote a una sedia per farlo star buono); Titina, Federico e Salvatore, i tre fratelli (minori) di Rosaria. E poi Gennaro de Cicco: in abito da Superman s'improvvisa portiere di retroguardia nel caseggiato in cui abita Peppino (si apposta in cima alle scale e intima ai condomini di aprirgli la borsa: vuol vedere se contiene kryptonite); una sera va a trovare come al solito il cugino Michele, si denuda completamente, gli rivolge una disperata richiesta d'aiuto ("Spogliati pure tu. Fammi vedere se sei uguale a me") e, quando fa per toccarlo, ne riceve un'"occhiata feroce"; l'indomani si getta sotto le ruote di un autobus, portando con sé le sue domande senza risposta.
È il perno di tutta la storia questo tenero e infelice Nembo Kid; scioglie in tragedia l'attrazione per il suo stesso sesso, ma sopravvive nondimeno nell'immaginazione di Peppino, che prende per mano lungo il racconto per renderlo consapevole della sua diversità: "Tu sei fatto come me. Non sei uguale a loro", gli dirà alla fine prima di caricarselo sulle spalle e di sollevarsi in volo su una magica Napoli notturna; il piccolo allora capisce: "Pensò a tutta la vita che doveva ancora venire, dopo quella notte, e improvvisamente si sentì felice".
"Loro" sono i parenti, gli amici, i conoscenti. "La gente". Ma non sono pochi i "diversi" come Gennaro e Peppino. Si muovono come marionette sulla scena del piccolo mondo animato che scorre vivace davanti agli occhi ingenui e stupefatti del bambino: la zia Titina, troppo disinvolta in materia di sesso agli occhi di Rosaria ("La libertà sessuale di sua sorella la indisponeva. Il percorso diverso andava bene, ma precisamente a quanta distanza si situava dal percorso della zoccola?"); lo zio Salvatore, il più piccolo dei quattro Sansone, che porta collanine vivaci, indossa pantaloni a zampa d'elefante bassi in vita, si passa il mascara colorato sugli occhi come l'alieno, glam Ziggy Stardust di David Bowie e, pur non capendo quasi nulla d'inglese, sa a memoria le canzoni dei Beatles; la sorella della sua maestra Lina, che piomba in classe abbigliata e acconciata come un uomo ("capelli brizzolati tagliati corti, giacca, gilet e pantaloni marroni, una camicia a righe con una cravattina stretta pure marrone, e scarpe di pelle bicolore con i lacci"); lo zio Bambiniello, "che tutti chiamavano 'A Bambinella a causa della sua predilezione per gli abiti femminili".
La diversità è d'altronde il tono fondamentale della poetica di Cotroneo, dal vitreo Re del mondo, sorprendente nell'improvvisa, finale virata verso il noir – l'efferato omicidio di un bisessuale, speciale Andrea ai danni di Martina, dettato nel profondo dall'ossessivo desiderio di diventare un attore famoso – e però troppo compromesso dai debiti contratti verso gli scrittori americani (e la nostra Santacroce), alle Cronache di un disamore, protagonisti Luca e Maurizio, dove già s'intravedeva lo scrittore di vaglia. Quel tono, in questa Kriptonite nella borsa, moltiplica le sue presenze proprio grazie al potere evocativo del soprannome, nella migliore tradizione popolare (viene però in mente anche l'Aldo Busi del Seminario sulla gioventù), che ci fa apparire diversi anche da noi stessi; come quando, uomini e donni, donne e uomine dell'era digitale, ci inventiamo più moderni nicks o ci affidiamo all'identità posticcia di un avatar.
I sostituti del nome comandato investono soprattutto la teoria interminabile degli zii di casa Sansone, con una sarabanda di nomignoli, nomi "di riserva", ipocoristici: nomina actionis, come la zia Pensaeriflettibene ("così detta perché prima di prendere una qualsiasi decisione si portava l'indice della mano sinistra alla tempia ed esortava se stessa a un momento di riflessione, ripetendo a voce alta quell'invito alla meditazione"); nomi di professioni e di mestieri (lo zio Beccaio, la zia Cantante, la zia Sensale), magari suggeriti metonimicamente dalla determinazione di quelli battesimali (lo zio Gigino delle Sedioline, "che aveva un'attività di commercio di sedie impagliate all'Annunziata", e la sua gentile consorte, la zia Enzina delle Sedioline), o metonimici senz'altro (la zia Casseforti, dalla merce trattata nel suo negozio, e la zia Bellablù, dall'insegna "della sua boutique di vestiti"); appellativi affibbiati per contrappasso (lo zio Settebellezze, "a parere concorde di tutti il più brutto") e dichiarazioni di stato sociale o civile (la zia Zitella e le zie Signorine, la zia Vedova e la zia Orfana); nomi normali assegnati solo per distinguere (la zia Adele; in realtà Antonietta, ma occorreva evitare di "confonderla con un'altra parente") o ricavati dal luogo di provenienza (lo zio Conte, "che non vantava titoli nobiliari ma abitava ai Gradini Conte di Mola"); designazioni metaforiche: lo zio Prevete, perché "fin da piccolo aveva avuto un'aria seria e misteriosamente compunta", e la zia Monaca, la cui motivazione, non resa esplicita, pure s'intuisce; lo zio Birillo, "così detto perché andava in giro impettito e solenne sulla sua vespa grigia"; la zia Spagnola, "che era napoletana da quattro generazioni ma indossava sovente gli scialli"; lo zio Scienziato, "l'unico, almeno nel ramo collaterale della famiglia a cui apparteneva, ad avere conseguito la licenza media". Ma i soprannomi tracimano un po' ovunque, coinvolgendo figli, nipoti e quant'altro: quando Pasquale acquista cinque pulcini colorati e tre di essi (Primo, Secondo e Terzo, così li chiama), contrariamente al solito, reggono eroici al freddo ambiente notturno di casa Sansone, ricevono l'"epico nome" di Sopravvissuti; tante le vie, le piazze, le zone di Napoli che nessuno è avvezzo a indicare con il nome imposto dalla toponomastica; il futuro maestro Riccardo Muti, compagno di liceo di Federico e "riservato ai limiti della misantropia", viene chiamato da tutti il Musichiere.
Sullo sfondo gli anni settanta. Così pieni di fermenti, seppure avari di buona letteratura. Aerei e trasognati, quasi impalpabili, di una leggerezza disarmante e ben diversa da quella equivoca di Culicchia (Il paese delle meraviglie). Anni nei quali, ci aiuta a ricordare Cotroneo, Raffella Carrà intonava Rumore e Maga Maghella; la famiglia italiana media con bambini in età scolare comprava cartoncini bristol e pennarelli Carioca e non poteva fare a meno di riservare un posto in libreria ai Quindici; mamma e papà leggevano i gialli Mondadori (Rosaria ama quelli di Patrick Quentin) mentre i figli più grandicelli divoravano gli albi di Kriminale le storie dell'Intrepido, ascoltavano i Dik Dik e le Orme, giocavano al flipper; si sorseggiavano Vov e Zabov, il Mandarinetto Isolabella e il liquore Strega, la Sambuca Molinari e Cambusa One l'Amaricante; si sfogliava il "Radiocorriere" e si guardavano in tv le pubblicità di Carosello, gli sceneggiati e le operette, i film al lunedì e al mercoledì sul primo e sul secondo canale; si andava tutti insieme alla fiera o al mercato.
Non so se a un critico è lecito più di tanto commuoversi, fino a gettare le armi. A me è capitato, come mai in anni recenti. Sarà stata la felicità possibile prospettata nell'explicit al "diverso" Peppino (la stessa sorte toccata ai suoi due predecessori: Andrea, rinchiuso in carcere dopo l'assassinio, è "contento e finalmente sorride", Luca si lascia dietro di sé il "disamore"e sorride anche lui, alle cose "belle" e "allegre" che lo attendono). O forse, arrivati al fatidico giro di boa, si cede più facilmente. Lo scrittore però è grande. E poi c'è la kryptonite: se ha la meglio su un supereroe può avere facilmente ragione di un comune mortale.
Massimo Arcangeli
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