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Anno edizione: 2016
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A pensare che la vendetta sia l’espressione del senso di giustizia si rischia di ridurre la propria esistenza a un’angosciosa rincorsa delle proprie ossessioni che prende la forma di un circolo vizioso senza soluzione, se non quella frustrante di perdere i riferimenti del proprio essere al mondo, se non di agire in una direzione senza progressione, ferma sul passato. Un’atmosfera straniante e opprimente accompagna la lotta solitaria di Mahran contro i suoi demoni – i cani, i traditori – tenendolo imprigionato nelle sue ossessioni più ancora che le sbarre della cella da cui è appena uscito. La narrazione che si sposta continuamente e senza un’apparente regola dalla prima alla terza persona sottolinea, a mio avviso, il tormento di Mahran che tesse la sua tela fino a farne la sua trappola. Mahfuz ha uno stile in cui si riflette il biancore abbagliante dell’intonaco a calce che ricopre i muri delle abitazioni egiziane. Un bianco che respinge il calore dei raggi solari e uno stile capace di costruire il senso di distanza dal calore della concretezza.
Leggi la prima riga e ti ritrovi immediatamente catapultato nella vita di Said, e ti sembra di soffrire lo stesso caldo soffocante del Cairo in piena estate, e di provare lo stesso smarrimento di fronte al tradimento delle persone in cui credevi di più, e di vivere sulla tua pelle la stessa vergogna che prova chi non riesce a ricambiare un amore profondo. O anche solo a rendersene conto. In questo romanzo breve, il premio Nobel egiziano Nagib Mahfuz gioca con la vita di Said ma gioca anche con la vita del lettore, alternando la narrazione in prima, seconda, terza persona ma soprattutto sovvertendo la differenza fra giusto e sbagliato, fra lecito e illecito, fra i cani e il ladro. E lo fa talmente bene che, a tratti, la vendetta pare quasi giustificata. Quasi.
Romanzo letto molti anni fa che mi ha lasciato un buon ricordo della letteratura di Nagib Mahfuz. Il personaggio principale è il ladro Said Marhan uscito di prigione dopo 4 anni, perdendo la moglie, con la quale ha divorziato, nonché la sua adorata figlia Sana. È una vicenda che ci parla di una vendetta studiata dal ladro nei confronti del suo amico Alish, attraverso la quale egli persegue una sua giustizia privata e che porta alla riflessione sull’esistenza immutabile del destino personale. C’è la delusione dell’amore fallito, l’allontanamento dalla figlia, i rapporti mutati nella vita di ogni giorno e che Said riconosce appena esce dal carcere, un esame, insomma, sul fallimento dell’intera vita di quest’uomo, condotto per mano verso un più aspro e doloroso fallimento.
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