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Frezza, Daria. Il leader, la folla, la democrazia nel discorso pubblico americano : 1880-1941. Roma Carocci, 2001., Carocci, 2001. 2053 1076 AUTORE PRINCIPALE Frezza, Daria TITOLO Il leader, la folla, la democrazia nel discorso pubblico americano : 1880-1941 / Daria Frezza PUBBLICAZIONE Roma : Carocci, 2001 DESCRIZIONE FISICA 335 p. ; 22 cm. COLLEZIONE Studi storici Carocci ; 11 brossura Ottimo
Indice
Massa, folla, leader sono temi la cui fortuna sul continente americano può essere studiata solo alla luce della mutua influenza tra Europa e Stati Uniti. Nella seconda metà dell'Ottocento, con l'immigrazione dal Vecchio continente, venne importato in America il socialismo di stampo europeo, che da una parte ispirò gli ideali delle forme collettive di protesta, e dall'altra provocò frequenti polemiche sull'inquinamento della "razza" anglosassone. Secondo la stampa moderata, infatti, gli agitatori erano quasi tutti alien proletarians, costituivano una imported class, le cui teorie di sovversione sociale si configuravano come "corpi estranei" nella cultura politica americana. Il mob (da "mobile", nel senso di "instabile") era la folla in rivolta, costituita dai bad workmen, ossia quella massa di lavoratori dalla connotazione etnica "non-americana", imbevuta delle dottrine socialiste europee. Tra le principali questioni del dibattito politico e sociologico negli Stati Uniti emersero, dunque, la difficile americanizzazione dei nuovi immigrati e i rischi di un eventuale allargamento del suffragio. Lo stesso presidente Theodore Roosevelt, pur evitando di usare apertamente il termine Anglosaxondom, esaltò la "razza americana" con i caratteri retorici che avevano da sempre contraddistinto gli elogi dell'anglosassonismo: la forza dei pionieri, la tempra dura e la capacità di concepire nelle menti "grandi imperi". Persino un rappresentante dell'American Federation of Labor, John R. Commons, espresse preoccupazione per la degenerazione della popolazione americana dovuta all'immissione di razze inferiori. E un sociologo della Columbia, John W. Burgess, auspicò un lungo processo di assimilazione dei valori della razza "superiore" da parte di quelle "inferiori", prima che a queste ultime venissero concessi i pieni diritti della cittadinanza.
Le teorie di Gustav Le Bon sulla psychologie des foules ebbero grande risonanza nel discorso pubblico americano. Si fece così strada la folla come "entità patologica fagocitante l'individuo". E anche la folla mutevole e irrazionale, capace delle peggiori efferatezze. Ne discese, in opposizione, l'esigenza sociologica di una nuova rappresentazione dell'individualismo, meno rivolto alla cura del particolare, e più attento ai problemi generali della società. Dewey, Mead, Croly, Lippmann e altri esponenti intellettuali dell'età progressista posero così l'accento su un possibile legame "sano" dell'individuo con la comunità. Ma questa elaborazione fu travolta, nel primo dopoguerra, dall'ondata del relativismo politico, antropologico e linguistico. Si diffusero, contestualmente, varie forme di irrazionalismo. Nel contempo, le riflessioni di molti studiosi sull'incompetenza dell'uomo comune favorirono l'affermarsi di teorie elitario-tecnocratiche, e finirono talvolta con l'approdare persino a progetti di "fascismo americano". "Qui non può succedere?", si domandava in un suo romanzo Sinclair Lewis, scorgendo nel Ku Klux Klan, nei linciaggi e nei movimenti di protesta ispirati dal fanatismo popolare il terreno di coltura per movimenti fascisti. In un'epoca di gravi disagi, nasceva in diversi strati della società la richiesta di una leadership capace di guidare il paese fuori dalla crisi. La figura carismatica di Franklin Delano Roosevelt rispose a quelle esigenze.
Nello studio della relazione tra leader e folla, il volume avrebbe tuttavia potuto dedicare più ampio spazio a Woodrow Wilson, alle sue intuizioni sulla massificazione della politica e sulla costruzione del consenso. Invece, questi temi vengono affrontati soltanto a proposito di un'epoca successiva, soffermandosi sui discorsi alla radio di Roosevelt e sulla sua "attenta sensibilità per il linguaggio". L'idea conclusiva del libro è che l'emergenza bellica, oltre a produrre allarmi per una "dittatura presidenziale" e per lo "strapotere dell'esecutivo", contribuì in grande misura all'impegno intellettuale per la coesione sociale, all'esaltazione del "popolo", alla demolizione scientifica del "dogma della razza" e alla costruzione di una cultura civica interetnica e interrazziale.
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