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recensione di Colucci, M., L'Indice 1992, n. 4
Questa "Letteratura della Slavia ortodossa" di Riccardo Picchio raccoglie quindici saggi, molti dei quali pubblicati per la prima volta in Italia, che, alla resa dei conti, rappresentano forse il meglio di quanto, in un trentennio di lavoro, questo grande studioso ha scritto sull'argomento. Se si prescinde da un'antica militanza politica nei primi anni del dopoguerra, come corrispondente dell'"Avanti" a Varsavia, Picchio è uomo che si è tenuto rigorosamente all'interno dei propri studi, evitando la facile popolarità della società letteraria e dei mass media. Ciò ha fatto sì che il suo nome, conosciutissimo a livello internazionale fra gli specialisti, sia poco noto al grande pubblico italiano. Dopo aver insegnato filologia slava alla Sapienza negli anni sessanta - e accanto a un nome glorioso della slavistica, Angelo Maria Ripellino -, egli è stato chiamato alla Yale University, dove per quasi un ventennio ho tenuto la cattedra di letterature slave. Attualmente insegna letteratura russa e letteratura slava ecclesiastica all'Istituto Universitario Orientale di Napoli.
Fin qui il profilo accademico dell'uomo, ma è aridamente riduttivo rispetto al suo eccezionale poliglottismo culturale (Picchio si è interessato a fondo anche di Slavia Occidentale e di Ottocento russo); rispetto alla sua capacità di collegare la problematica della Slavia a più ampi contesti, a cominciare dal mondo neolatino; rispetto alla felice mescolanza di storicismo e apertura alle migliori correnti della semiotica contemporanea che caratterizza il suo approccio al testo letterario. Soprattutto rispetto ad una personalità umana la cui finezza, testimoniata fra l'altro da un umorismo divenuto celebre, non cessa di colpire chiunque l'abbia conosciuta.
In questa raccolta Picchio vede il medioevo russo, bulgaro, macedone e serbo - un medioevo che, in alcuni casi, si prolunga sino alle soglie dell'Ottocento -in una prospettiva storieoculturale unitaria: la "Slavia ortodossa " del titolo, appunto. Nata e sviluppatasi all'ombra dell'ereditd spirituale di Bisanzio, nella concezione dello studioso essa si contrappone a quell'altra parte del mondo slavo-polacchi, cechi, slavacchi, sloveni e croati - che, al contrario, si è cristianizzata e acculturata all'ombra della curia romana e dell'impero d'Occidente: la "Slavia romana".
Sembrano verità in qualche misura ovvie (tragicamente verificate dagli stessi avvenimenti jugoslavi), ma occorre tener presente che il nazionalismo delle filologie ottocentesche aveva per corso il cammina opposto, esaltando le specificità delle varie culture. E che l'ideologia del socialismo reale complicò ancora di più le cose, rifiutandosi di ammettere che un elemento quale l'appartenenza confessionale potesse avere un ruolo storico-culturale decisivo nello sviluppo di una nazione. Le categorie interpretative di Picchio hanno portato in tutto questo elementi di chiarezza per molti aspetti definitivi, se è vero, com'è vero, che le definizioni "Slavia ortodossa" e "Slavia romana" sono oggi di uso corrente. E che le rare obiezioni che contro di esse si sono levate appaiono più di ordine terminologico (ad esempio, in luogo che alla coppia "Slavia ortodossa" vs "Slavia romana", ricorrere a quella "Slavia bizantina " ve "Slavia cattolica ") che sostanziale.
In questi saggi l'autore spazia dal IX al XVIII secolo, esaminando la questione dello slavo ecclesiastico e della letteratura bulgara antica nel contesto del medioevo europeo, affrontando quindi i momenti decisivi dello sviluppo culturale russo prepetnno, fino a toccare, come s'è detto, figure del Settecento. Più che entrare in dettaglio nel merito li problemi accessibili spesso solo agli specialisti, conviene vedere le acquisizioni critiche fondamentali che si devono a questi studi. Alcune riguardano l'intera Slavia ortodossa. Così il fondamentale ruolo svolto dallo slavo ecclesiastico, quale lingua di una koinŠ culturale estesa dal Danubio alla Siberia, considerato da vicino nelle sue "articolazioni funzionali". Cosi la frequente presenza nei vari testi letterari di particolari strutture prosodiche, con funzione di ausilio sintattico e di sottolineatura espressiva (si tenga presente che nella Slavia ortodossa, salvo che a livello folclorico, non esiste una vera tradizione versificatoria): il cosiddetto "isocolismo". Così ancora la funzione che hanno le citazioni scritturali, quando siano in posizione marcata, di chiave tematica. In altri termini, di strumento che deve aiutare il lettore ad intendere, al di là del senso letterale, il senso "spirituale" di un testo. E questo nell'ambito di una visione del mondo, qual è quella slava ortodossa, rigidamente teleologica, in cui il concetto di fictio è comunque escluso, a vantaggio di una letteratura vista invece esclusivamente al servizio della "verità ".
Altri punti salienti degli studi di Picchio riguardano specificamente la letteratura russa antica. Anche qui vanno sottolineate le acquisizioni, critiche di maggiore importanza. La prima riguarda lo "Slovo (Discorso) sull'impresa di Igor'", il massimo monumento della civiltà letteraria russa antica. Picchio, senza sottacere la presenza di elementi che rendono quest'opera per molti aspetti ancora enigmatica, riesce ad inquadrarla in maniera convincente nell'ambito delle componenti fondamentali della letteratura prepetrina. Non meno persuasive sono le pagine dedicate al processo di prima occidentalizzazione della Russia - quello avvenuto nella seconda metà del Seicento -, di cui l'autore mette a fuoco la matrice cattolica e tardoumanistica. O le altre, delicate alla celebre "Prefazione sull'utilità dei libri ecclesiastici" (1758) di Lomonosov, vista come un documento di intonazione fondamentalmente ideologica: filoprotestante e antilatina.
Sarebbe rendere allo stesso Picchio un cattivo, servizio considerare le sue tesi tutte inattaccabili, tutte accettabili e accettate dagli "addetti ai lavori". Lo stesso studioso del resto non manca di sottolineare continuamente il carattere di pura ipotesi di molte sue interpretazioni; la necessità che ad esse seguano ulteriori approfondimenti, in grado di confermarle o smentirle. Ma una simile considerazione appare ovvia e nulla toglie a una verità che possiamo considerare acquisita: il contrillato dato da Picchio allo studio del medioevo slavo ortodosso è d'entità tale da aver modificato; in profondità l'angolazione critica con cui oggi ci accostiamo alla sua civiltà letteraria. Detta diversamente, sono prima di ogni altro gli strumenti di analisi che egli ci ha approntato quelli che oggi ci permettono di scorgere tutta la complessità, spesso la raffinata consapevolezza formale, di una letteratura che, per quasi due secoli, era apparsa avvolta da una cappa di compatta, più o meno grigia uniformità.
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