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"Ma dov'è la fisarmonica?", si chiede impaziente il lettore delle dieci lezioni da Marianelli dedicate a questo strumento. Solo alla fine dell'ultima, la fisarmonica rivela la sua identità di metafora della casa sull'Arno, di cui l'autore e abitante ha visitato ogni angolo, facendolo risuonare al pari di un tasto fisarmonicale. Se ne ricava una vasta gamma di motivi, di cui tuttavia non c'è nota che si sottragga alla legge del tema dominante: il virgiliano ruit inreparabile tempus. Lo scorrere inesorabile del tempo si abbatte su uomini e cose, e nessuno lo sa meglio di chi, come l'autore, gode dell'apparente privilegio di una lunga esistenza. Il quale privilegio si paga con la triste necessità di sopravvivere in un universo orfano di tanti luoghi e di tanti amici, ossia di tanta parte di se stessi. Questo bilancio Marianelli non lo proclama in prima persona, né per bocca di altro personaggio, ma visitando gli oggetti a lui più familiari, quelli che si sono come sedimentati nella sua abitazione principale, sul Lungarno pisano.
Non di semplice visione però si tratta, alla maniera della école du regarde di Robbe-Grillet, ma di una partecipe interrogazione degli oggetti, alla ricerca "degli echi dei problemi che essi ci rimandano moltiplicati in varie guise". In realtà, gli echi dei problemi rinviano ai personaggi che li hanno vissuti o provocati, sicché si crea in tutto il racconto uno strano rapporto tra cose e uomini. Strano, perché il mondo del silenzio, proprio degli oggetti, impone la sua legge ai protagonisti, che non parlano, né possono protestare per il ruolo loro imposto, e che risulta dal modo di rapportarsi agli oggetti della casa che, in quanto familiari, condividono con l'io narrante. Ne deriva un'atmosfera di requiem per una famiglia felice, tenuto sotto l'egida della "donna che non sorride", la Malinconia di Dürer, che il padrone di casa "tiene esposta a capo del letto".
Forse l'esigenza di stemperare il "mugugno accidioso" di questa malinconia, discendente degenere della gioconda Eva, ha indotto l'autore a regolare la narrazione dentro la cornice di sia pure notturne lezioni accademiche. Non so quanto tale finzione giovi alla plasticità dell'insieme. Certo è però che le parti strutturali, come le introduzioni del professore o i suoi dialoghi-sermone con i destinatari delle lezioni, il lettore le dimentica assai facilmente. Le pagine di gran lunga più felici restano quelle che descrivono, non quelle che spiegano. Per tutte, si leggano le pagine dedicate alla figura della Signora. Gli oggetti da lei curati, dal mobilio funzionale all'ordine irreprensibile dei cassetti, segnalano una solidissima e accogliente padrona di casa. Ma nella sua stanza da lavoro, proprio nell'ambiente che più dovrebbe esaltare il suo infallibile equilibrio, una crepa immedicabile sembra aprirsi nell'animo del personaggio. I suoi libri tradiscono una vera e propria coincidentia oppositorum, la compresenza di estremismi letterari che si fanno la guerra dalle opposte pareti della stanza: "A destra manuali, sintassi e antologie, le Guerre galliche, civili e Giugurtine, le Odi di Orazio, Tacito e Omero, Manzoni e Seneca, Lucrezio, Erodoto e Machiavelli. A sinistra Anima selvaggia, Io ti lascerò, Resto con te, Torbide passioni, Il fiore dell'estasi, Batticuore, Orchidee e sangue, Non sfidare il cuore, È sempre una questione d'amore, e via spassionando".
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