Il 28 marzo 1944 fu compiuto da parte di fascisti, in località Montemaggio, il più massiccio eccidio di partigiani (diciannove persero la vita) in provincia di Siena. Il ventiduenne Meoni riuscì a evitare l'esecuzione. Grazie al soccorso di contadini fu trasportato in ospedale e dopo non poche peripezie anche carcerarie riuscì a tornare in libertà e proseguire la lotta. Così Meoni, nato nella combattiva Colle Val d'Elsa, formatosi a Firenze frequentando la Facoltà di Scienze politiche e gli inquieti ambienti del cattolicesimo non ossequiente al regime che avevano in Giorgio La Pira il loro più alto riferimento, è entrato nella leggenda come un miracolato. E ha fatto della fedeltà alla scelta etica di quegli anni ragione di impegno e di testimonianza. In questo libro sintetizza, con una prosa pulita e dimessa, nei termini di un resoconto, il cammino che lo portò nelle file della Resistenza e, a Liberazione avvenuta, nel Pci. La narrazione si arresta al 1964, quando Meoni scrive una lettera al comitato cittadino senese del Pci per dichiarare la propria ferma intenzione di rinunciare alla candidatura a sindaco, pur largamente sostenuta. Le accuse di "amendolismo" che aveva ricevuto lo avevano ferito e indotto a rinunciare in nome dell'unità. L'episodio è sintomatico di una situazione nella quale tutt'altro che assente era uno strisciante settarismo. Meoni portava con sé gli umori di un centro operaio, percorso sempre da tensioni non conformiste. Ed è di quella Colle anarchica e libertaria che si avverte una misurata evocazione. Il testo si presta quindi a una duplice lettura: per capire le motivazioni di un giovane che ebbe nella macchia la sua scuola di formazione e per rendersi conto di pregiudizi e chiusure di un "partito nuovo" non esente da sospetti di vecchia matrice. Roberto Barzanti
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