(Firenze, dopo il 1220-94) scrittore italiano. Notaio, fu ambasciatore guelfo in Castiglia nel 1259. Mentre ritornava a Firenze, i ghibellini vittoriosi a Montaperti (1260) lo condannarono all’esilio; perciò rimase sei anni in Francia esercitando la professione notarile. Al rientro in patria, dopo la battaglia di Benevento (1266), partecipò intensamente alla vita politica, giungendo fino al priorato (1287). Dante lo canta (Inferno, XV) come suo maestro (il che va però inteso nel senso generico di un magistero ideale), ricordandone la «cara e buona imagine paterna». Dei suoi eclettici interessi di prosatore e poeta in francese e in italiano testimonia una vivace attività letteraria, notevole soprattutto per l’impronta laica impressa alla cultura non soltanto fiorentina ma, più in generale, italiana e - stando alla diffusione dei codici e delle traduzioni - anche europea. In prosa francese scrisse Li livres dou Trésor, una ricca enciclopedia che, in 3 libri, sulla traccia di fonti classiche e medievali, raduna notizie scientifiche, filosofiche, politico-economiche e retoriche. Analoghi intenti etico-didattici perseguono le sue opere italiane in versi (settenari a rima baciata): il Favolello, epistola sull’amicizia indirizzata a Rustico di Filippo; il Tesoretto che riassume - entro la trama di una visione allegorica - la materia del trattato francese. Decisivo appare l’intervento di L. sulla prosa volgare, compiuto attraverso l’abile volgarizzamento (il primo in Europa) di tre orazioni di Cicerone (Pro Ligario, Pro Marcello, Pro rege Deiotaro) e, piú ancora, con la traduzione e il commento, nella Rettorica, dei primi 17 libri del De inventione ciceroniano, che diffusero e attualizzarono le regole dell’oratoria classica.