Alberto Arbasino è stato narratore e saggista eclettico. Ha dato nei suoi scritti, da Le piccole vacanze (1957) a Fratelli d'Italia – del quale ha pubblicato tre differenti stesure (1963, 1976, 1993) – a Mekong (1994), un ritratto caustico e impietoso della società italiana del secondo Novecento. Assertore della 'gita a Chiasso' come antidoto al provincialismo culturale italiano ereditato dal fascismo, fu tra i sostenitori del Gruppo 63.
Eccentrico, colto e curioso cronista della realtà sociale e culturale degli anni Sessanta e Settanta, ne lasciò un vivo ritratto nelle prime opere, che tendono a una giocosa mescolanza di generi letterari: dalle impressioni di vita fermate nelle pagine di Parigi o cara (1960), Grazie per le magnifiche rose (1965), Sessanta posizioni (1970), Un paese senza (1980) ai romanzi di formazione L'anonimo lombardo (1959), Fratelli d'Italia (1963) e della prima maturità Super-Eliogabalo (1969), La bella di Lodi (1972).
Cosciente continuatore dello spirito illuminista lombardo e della linea letteraria che ha i padri nobili in Carlo Dossi e Carlo Emilio Gadda, ne è stato spregiudicato e ironico interprete in tutta la sua copiosa produzione. Tra le sue ultime opere il volume di poesie Matinée (1983) e i saggi Lettere da Londra (1997), Passeggiando tra i draghi addormentati (1997) e Paesaggi italiani con zombi (1998), Rap! (2001) e Rap 2 (2002), raccolta di poesie, ritornelli, scritti in versi, canti nella quale – prendendo a prestito la ritmica della musica rap – mette ancora una volta alla berlina atteggiamenti, mentalità e comportamenti degli italiani. Del 2004 è Marescialle e libertini (Adelphi). Tra 2009 e 2010 sono usciti i due volumi dei Meridiani Mondadori che raccolgono i suoi romanzi e racconti. Del 2011 America amore (Adelphi) che racconta il suo periodo americano tra la fine dei Cinquanta e i primi anni Sessanta; del 2012 è Pensieri selvaggi a Buenos Aires (Adelphi); del 2014 Ritratti italiani (Adelphi) e del 2016 Ritratti e immagini (Adelphi).
Muore il 23 marzo 2020 all'età di 90 anni a seguito di una lunga malattia.
Di lui ha scritto Goffredo Fofi in merito a L'anonimo lombardo, prima stesura:
«Se Arbasino non si fosse lasciato divorare dal gusto dell'arzigogolo, se non fosse diventato pian piano un vecchio moralista un po' monotono, se non si fosse adagiato nella maniera di sé e nell'invenzione e ossessiva proposta di un proprio birignao, avrebbe riprodotto quel volume tal quale. Un volume che, fortunato chi ce l'ha, rimane, credo, il suo capolavoro.»
Goffredo Fofi - Il Messaggero, 28 agosto 1996