(Venosa 65 a.C. - Roma 8 a.C.) poeta latino.La vita Il padre, un liberto che aveva costituito un piccolo patrimonio, seguì con sollecitudine piena di affetto l’educazione del figlio, facendolo studiare a Roma dai migliori maestri e mandandolo poi, come si usava, a completare la formazione ad Atene con studi retorici e filosofici. Lì O. aderì all’ideologia repubblicana dei giovani patrizi romani che vi studiavano, anche perché suggestionato dai temi delle scuole di retorica; al precipitare della situazione politica per l’uccisione di Cesare, si arruolò nell’esercito di Bruto e Cassio, ricevendone il grado di tribuno militare. Combatté a Filippi (42) e anch’egli fuggì nella disfatta del suo esercito. Col condono politico di Ottaviano tornò a Roma (forse nel 41), ma senza protezioni politiche. Le sostanze lasciategli dal padre erano state confiscate: per vivere si impiegò come contabile nell’amministrazione statale. Intanto faceva conoscere il suo nome di poeta stabilendo rapporti con i letterati contemporanei. Dalla vita pubblica rimase lontano, sia per l’amara esperienza di Filippi, sia per temperamento, sia infine per influenza della dottrina epicurea, cui si era accostato (come Virgilio) attraverso il circolo napoletano di Sirone. Si trattava, del resto, di una scelta tipica di una generazione: rifugiarsi nell’otium contemplativo contro il pericoloso e deludente negotium politico.Fattosi conoscere attraverso gli Epodi e le Satire, O. strinse amicizia specialmente con Virgilio e Varo che, nel 38, lo presentarono a Mecenate, l’intelligente organizzatore del consenso degli intellettuali alla politica di restaurazione augustea. Mecenate accolse O. nel suo circolo culturale fin dall’anno seguente (37) e stabilì con lui un’amicizia affettuosa. La conoscenza di Mecenate assicurò al poeta protezione, agi economici reali anche se non vistosi (una villa e un fondo nella campagna sabina) e la possibilità concreta di dedicarsi alla poesia. Nel 37 accompagnò Mecenate a Brindisi per lo storico tentativo di pacificazione tra Ottaviano e Antonio. All’interno del circolo di Mecenate rivestì un ruolo di primo piano, esercitando un notevole influsso sull’indirizzo artistico contemporaneo. O. era un intellettuale sostanzialmente allineato con le scelte del potere politico, anche se difese sempre la sua indipendenza di comportamento e di giudizio e seppe garbatamente prendere le distanze dallo stesso Augusto di fronte a proposte non congeniali al suo temperamento artistico (come quella di fare da segretario privato dell’imperatore). Morì poco dopo l’amico Mecenate, accanto al quale fu sepolto.Cronologia dell’opera La produzione letteraria di O. era iniziata prima di entrare nel circolo di Mecenate: il componimento più vecchio è forse l’epodo XIII, risalente al periodo di Filippi; di poco posteriore è la satira VII del 1º libro. La composizione delle Satire (Saturae o Sermones) e degli Epodi (Epodon liber) procedette sostanzialmente parallela: tra il 40 e il 30. Il 1º libro delle Satire, dedicato a Mecenate, fu pubblicato probabilmente nel 35; il 2º libro probabilmente nel 30. Le Odi (Carmina), che con gli Epodi appartengono al genere lirico, furono pubblicate in due riprese: i primi tre libri, dedicati anch’essi a Mecenate, uscirono nel 23; mancano elementi precisi sulla datazione del 4º, che uscì in un anno precedente di poco il 13 o nel 13 stesso. Tra il 20 e il 14 si collocano le Epistole (Epistulae) in due libri: il 1º, dedicato ancora a Mecenate, uscì nel 20; delle due epistole del 2º libro, quella a Floro è del 18 circa e quella ad Augusto (la prima) del 14 o 13. A questo libro è aggiunta l’Epistola ai Pisoni, nota come Arte poetica (Ars poetica) composta secondo alcuni nel 16 e secondo altri dopo il 13. Nel 17, quando vennero celebrati i Ludi secolari, O. ebbe da Augusto l’incarico ufficiale di comporre un carme (Carmen saeculare) per la cerimonia finale. Questo compito, poco sentito da O., fa presagire le pressioni sul poeta che si faranno più marcate negli anni successivi da parte di Augusto.Dall’inquietudine degli «Epodi» all’ideale di misura delle «Satire» L’opera di O. si distende tra gli ultimi anni del torbido periodo delle guerre civili e l’età del definitivo assestamento del regime augusteo. Benché O., dopo Filippi, non si sia mescolato alle battaglie politiche e culturali del suo tempo, gli Epodi testimoniano delle tempeste contemporanee e trascrivono il disorientamento del poeta. Gli Epodi (O. li chiama «giambi»; il nome attuale risale ai grammatici) si ricollegano, in forme più sbiadite, alla poesia politica dell’età cesariana; il loro merito è quello di aver trasferito nella letteratura romana i modi e i metri della poesia di Archiloco. Alcuni componimenti sembrano epigrammi in forma epodica, e il loro significato è soprattutto letterario. Le inquietudini e il disadattamento trasparenti dagli Epodi non sono più presenti nelle Satire. Attraverso certi temi della predicazione filosofica (non quella più rigida e moralistica) e la lettura di poeti quali Lucilio (di cui vuol essere il modernizzatore), O. cerca di elaborare, in forme piane e discorsive, un suo ideale di misura, che lo salvi dalle tensioni interne e non gli precluda il godimento della vita. Ricerca una morale di autosufficienza e di libertà interiore, valendosi di uno straordinario senso critico e autocritico oltre che del suo tatto e della sua conoscenza del mondo. Nelle Satire vengono in primo piano gli elementi personali e i valori individuali; esse costituiscono la prima tappa nella costruzione di una sorvegliata morale «borghese», ricca di senso delle sfumature nelle cose. Vi sono anche diatribe didascaliche su temi morali che lasciano trasparire le sue intenzioni pedagogiche, anche se questo momento non è per O. quello più importante né quello più accentuato. E c’è ancora una dissimulata volontà di autogiustificazione: O. capiva infatti la sorpresa del pubblico romano tradizionale di vedere lui, non nobile, così vicino a Mecenate e ad Augusto. In ogni caso, manca alle Satire di O. ogni intenzione di sistematicità dimostrativa; vi troviamo sempre, invece, una garbata aderenza alla vita di ogni giorno e la prontezza al sorriso per ogni stonatura, grande o piccola.Lirica e gnomica nelle «Odi». Il tema del «carpe diem» Le Odi sono l’opera più complessa e più alta di O. Alla fine del gruppo dei primi tre libri, egli si vanta di aver introdotto nella letteratura latina le forme liriche dell’antica poesia greca eolica di Saffo e di Alceo. Tale vanto indica la consapevolezza del distacco esistente tra la sua lirica e quella neoterica della generazione precedente: ciò comporta, da un lato, che la poesia non sia più intesa come raffinato prodotto di dottrina o di squisita abilità intellettuale; dall’altro, l’insistenza su nuovi ideali etici, oltre che la coscienza di un lavoro tecnico nuovo. Ciò non significa che O. rinneghi il peso esercitato su di lui dalla poesia alessandrina (dietro O. c’è un vasto sfondo culturale), come non significa che il suo confronto con la poesia greca sia di semplice traduzione formale. L’atteggiamento sentimentale e i valori di O. sono, nelle Odi, quelli delle Satire. Solo che ora c’è un maggior raccoglimento in sé, e c’è la volontà di misurarsi con la grande lirica dei poeti greci d’amore: salgono infatti in primo piano i temi della precarietà della vita, della meditazione sulla vita e sulla morte, dell’amore, della bellezza poetica come valore che si sottrae all’erosione continua delle cose. In particolare, il tema dell’amore e quello del carpe diem costituiscono un motivo profondo e centrale: l’invito a superare la immanente precarietà delle cose nel goduto possesso dell’attimo, di cui si può, per un momento baluginante, essere padroni. Ecco perché è così difficile distinguere nelle Odi il momento lirico e quello gnomico: essi costituiscono un’unica tonalità cangiante. Il presente e il quotidiano sono la sfera in cui si esprimono i valori di O., sfera sempre insidiata dall’immanente non essere e dalla mancanza di equilibrio interiore. I sentimenti, impastati col fondo ironico e autocritico di O., non hanno mai esplosioni vistose, così come non si prestano a programmi esterni di restaurazione morale: da qui la ambigua adesione di O. al programma augusteo e una prevalente freddezza decorativa nelle odi celebrative, civili, politiche o religiose. L’imitazione delle forme greche non scompone il suo ideale sottilmente ironico.Le «Epistole» e l’«Ars poetica» Con le Epistole O., ormai maturo, cerca un dialogo più intimo e raccolto con sé stesso; c’è un bisogno di calma e di tolleranza in cui si annida tanta esperienza umana, interiorizzata in una sorta di tranquilla ascesi laica. È il frutto della migliore lezione del suo epicureismo: non vale perciò parlare di «svolta» in senso stoico. Il 2º libro delle Epistole e l’Ars poetica sono calme discussioni sulla letteratura latina e sulla vita letteraria contemporanea e contengono anche una garbata polemica contro il proposito augusteo di restaurare il teatro latino di tipo plautino. In particolare, l’Ars poetica costituisce una breve summa, tracciata sulla falsariga delle dottrine peripatetiche, delle più importanti questioni e dei principi della poetica del mondo classico.La fortuna di Orazio Nelle Odi, O. ha creato un linguaggio nel quale si riconoscono gli elementi più tipici dell’espressione classica: concentrazione espressiva, rigorosa proprietà linguistica, ordine compositivo, chiarezza, costruzione del periodo così calcolata da evidenziare sempre con nitidezza ogni elemento; un linguaggio davvero «finito». Considerato maestro di classicità, O. non ebbe tuttavia validi imitatori. Entrò presto nelle scuole, già sotto i Flavi, e, sempre dal sec. I d.C., iniziarono le edizioni (Valerio Probo) e i commenti (Terenzio Scauro). Di O., molto letto sino alla fine dell’antichità, si perdono le tracce dal sec. VII al IX, quello a cui risalgono i più antichi manoscritti conservati. Nel medioevo le opere più lette furono le Satire e le Epistole, per il loro taglio moraleggiante. Con l’umanesimo, quando furono tra l’altro raccolti molti scoli, la poesia di O. si impose in tutti i paesi d’Europa, esercitando un influsso profondo e durevole specie nelle età classicistiche fino all’illuminismo. All’Ars poetica si guardò per secoli come a un testo di inderogabile precettistica letteraria. Col romanticismo cominciarono, più che il declino della sua fortuna, le difficoltà a comprenderlo, considerato il grande cambiamento di gusto intervenuto nella sensibilità moderna. In Italia tentarono di farlo rivivere Carducci con le Odi barbare e Pascoli con il Liber de poetis.