Arriva in maniera fortuita al mondo del fumetto.
Inizialmente concepisce le sue storie come "cinema su carta", apponendo una dicitura prima di ogni storia: "United Rovers présente: un grand film comique". Il suo linguaggio è sicuramente influenzato dal cinema, nella sequenzialità e nel taglio delle inquadrature, mentre il segno, molto pulito e leggibile, è debitore nei confronti dei fumetti di George McManus (autore di Arcibaldo e Petronilla).
Spinto dall'abate Wallez, comincia a pubblicare le storie sulle pagine del Petit Vingtième, supplemento del quotidiano cattolico Le Vingtième Siècle. Da qui partirà la grande avventura di Tintin (il suo personaggio più noto).
La sua frequentazione (professionale) dell'ambiente cattolico di estrema destra (esplicita area di riferimento del giornale per cui lavorava), assieme alla successiva collaborazione col quotidiano Le Soir (nel periodo in cui era direttamente controllato dagli invasori nazisti), costarono a Hergé, un'accusa di collaborazionismo. Accusa dalla quale riuscirà a salvarlo solo la testimonianza di Raymond Leblanc, un partigiano che aveva in animo di fondare il settimanale Tintin e quindi testimoniò in favore di Hergé.
Per fare fronte alla copiosissima produzione di storie di Tintin, Hergé dovrà ricorrere alla collaborazione di numerosi assistenti, alcuni dei quali diverranno poi a loro volta autori affermati (su tutti Egar Pierre Jacobs, autore della serie dedicata a Blake e Mortimer).
Tormentato dalla depressione, si identificherà col suo personaggio, prendendone al contempo le distanze. Ma un'adesione totale fra autore e opera - "Tintin sono io", ripeterà in più occasioni - porterà anche i suoi collaboratori a non proseguire la serie una volta morto Hergé.