Luigi Capitano, dottore di ricerca in filosofia, pensatore e saggista. Si è occupato spesso dei rapporti tra filosofia e letteratura, scrivendo su Dante, Leopardi, Kafka, Pirandello. Ha collaborato a diverse opere collettive, fra cui Filosofie nel tempo. Percorsi monografici (2007) e Le mythe repensé dans l’œuvre de Giacomo Leopardi (2016). Ha da poco congedato una vasta monografia dal titolo Leopardi. L’alba del nichilismo (Orthotes, 2016) che inaugura una trilogia sul palinsesto del pensiero occidentale. Attualmente insegna filosofia e storia in provincia di Agrigento. Leopardi e il nichilismo Secondo Nietzsche il bisogno di senso è talmente radicato nell’uomo da spiegare la «sempre rinnovata comparsa» dei «teorici del fine dell’esistenza»: «di quando in quando l’uomo deve ritenere di sapere perché esiste». Né si possono eludere «i veri grandi interrogativi dell’esistenza» senza andare fatalmente incontro a quella che Husserl avrebbe chiamato la «crisi delle scienze europee». Se è vero che l’interrogazione sul senso dell’esistenza nasce sulle spoglie della domanda intorno al significato del dolore, è altrettanto certo che non possiamo confondere la posizione antiquata di Schopenhauer con quella del tutto inedita di Leopardi con la quale viene inaugurato il paradigma contemporaneo del nichilismo: «per i malati di “dolore universale” la vita e il mondo sono privi di senso perché sono miserandi. Per noi contemporanei la vita e il mondo sono miserandi perché sono privi di senso». Nell’orizzonte contemporaneo il nonsenso del mondo non deriva dal dolore e dal pessimismo, ma viceversa. Lo aveva in fondo già intuito Nietzsche nel famoso Frammento di Lenzerheide del 1887: «Il nichilismo appare ora non perché il disgusto per l’esistenza sia maggiore di prima, ma perché si è diventati riluttanti a vedere un “senso” nel male e nell’esistenza stessa».