(Atene 342/41 - 291/90 a.C.) commediografo greco. Di famiglia agiata, trascorse tutta la vita ad Atene. Sembra sia morto annegato nelle acque del Pireo, dove possedeva una villa. Amò a lungo una donna chiamata Glicera. Ebbe rapporti fugaci con Epicuro e fu probabilmente scolaro di Teofrasto e amico di Demetrio Falereo, il governatore filosofo che resse Atene dal 317 al 307. Condusse un’esistenza tranquilla e appartata in un’Atene sottomessa definitivamente da Alessandro, e ormai isolata dalla corrente principale degli eventi storici. Nella città, nonostante il legame col passato, si accentua l’individualismo e il distacco dalla politica. La ricchezza ritorna a essere ricchezza agricola; la società è meno mobile, con diseguaglianze più forti; le aspirazioni sono una sicura agiatezza e una vita familiare serena. Di questa atmosfera troviamo traccia nelle opere pervenuteci di M., poche rispetto alla sua vastissima produzione (almeno 105 commedie) e molto lacunose Gli arbitri (di cui rimangono circa 700 versi); La ragazza tosata (circa 400 versi); La donna di Samo (circa 300 versi). Nel 1957 fu scoperta in un codice papiraceo l’unica opera intera, Il bilioso (o Il misantropo). Di M. possediamo ancora un migliaio di frammenti di tradizione indiretta, resti papiracei relativi ad altre commedie e una raccolta di 877 sentenze monostiche non sempre autentiche. Gli intrecci di M., talvolta mutuati da Euripide, si fondano sempre su casi individuali (una fanciulla sedotta, un matrimonio contrastato, la gelosia tra coniugi) tipici della Commedia nuova e poi, per secoli, del teatro comico di derivazione classica. Ma l’atteggiamento del poeta è personale, i suoi sono personaggi vivi e non stereotipi fissi. M. coglie con delicatezza, serietà e lieve malinconia i moti del sentimento o l’apparente illogicità dei rapporti amorosi; su tutto domina la Tyche, il caso, divinità mutevole e incontrollabile che, anche nel lieto fine, fa pensare con ansia a quale tenue filo regga l’occasionale felicità degli uomini. Questa commedia borghese, centrata sull’individuo, non manca però di cogliere la realtà sociale, anche se gli scoperti riferimenti ad Aristofane sono ormai lontani. La comicità è tenue, e suscita il sorriso più che la risata. Il coro ha soltanto funzioni di intermezzo, il rapporto col pubblico diminuisce ma ne resta traccia nelle battute «a parte», divenute poi consuetudine teatrale. Lo stile è naturalissimo, la metrica duttile e scorrevole, la lingua estremamente tersa, con venature di linguaggio parlato.La fortuna di M., visto lo stato lacunoso in cui la sua opera fu tramandata, vive soprattutto attraverso la commedia latina, specie Terenzio, e soltanto indiretta, quindi, è stata la sua influenza sul teatro europeo.