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Il libro degli emblemi. Secondo le edizioni del 1531 e del 1534 - Andrea Alciato - copertina
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Il libro degli emblemi. Secondo le edizioni del 1531 e del 1534
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Il libro degli emblemi. Secondo le edizioni del 1531 e del 1534 - Andrea Alciato - copertina
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Descrizione


Il connubio tra immagini e parole, oggi così pervasivo, ha in realtà una storia ben più antica e nobile di quel che si tende a credere, e autorevoli progenitori tanto celebrati in passato quanto ormai trascurati. Fra questi è certamente da annoverare Andrea Alciato, grande erudito, umanista, «austero e insofferente» giurista tra i più insigni del XVI secolo. Il suo «Emblematum liber» (1531), galleria di situazioni umane trasfigurate in metafore e in mirabili simboli 'geroglifici', ambiva a trasmettere – similmente agli «Adagia» di Erasmo – un patrimonio di saggezza e moralità, attraverso una efficace visualizzazione verbale e iconografica di alti concetti o di semplici pensieri. Divenne invece l'archetipo di un genere di letteratura che non solo conobbe in Europa fin dalla sua nascita uno straordinario successo, ma esercitò un decisivo influsso, tanto da diventare un riferimento inevitabile, se si vuole capire molta parte dell'arte e della letteratura successive. «Il libro degli Emblemi» viene qui proposto per la prima volta in una edizione che se darà piena soddisfazione agli studiosi, i quali da tempo denunciavano un inspiegabile vuoto editoriale, costituirà per tutti gli altri lettori un'entusiasmante scoperta: il volume accoglie infatti, oltre al testo latino – criticamente stabilito sulla base del raffronto fra le due prime edizioni (1531 e 1534) –, la traduzione, le illustrazioni di altre due fondamentali stampe (1550, 1621) e un vasto commento, che di ciascun emblema individua le fonti speculative e iconologiche. Sarà così possibile ritrovare le radici da cui scaturì un'idea semplice e geniale: creare parole dalle quali possano fiorire immagini e viceversa, in uno sposalizio etico e filosofico dove si ascolta l'immagine e si vede la parola.
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Dettagli

2009
25 novembre 2009
LXXVI-731 p., ill. , Rilegato
9788845924415

Voce della critica

"Mentre i fanciulli giocano alle noci, i giovani a dadi / e gli uomini oziosi si intrattengono con le carte da gioco, / io nelle ore di festa conio questi Emblemi (…) / affinché chiunque sia in grado di applicare fregi alle vesti / e scudi ai cappelli, o di scrivere muti segni": in tali termini alquanto dimessi motivava la propria vocazione a foggiare e collezionare allegorie il milanese Andrea Alciato, l'illustre cattedratico (insegnava all'epoca diritto presso l'Università di Bourges) che il primo editore degli Emblemata, Heinrich Steiner da Augsburg,qualificava di"giureconsultissimo" al presumibile scopo di blandirlo, consapevole com'era del fatto di averne arbitrariamente licenziato alle stampe nel 1531 quell'ancora acerbo, imperfetto opuscolo. Ed è professione di umiltà che non può non ricordarne altre, a essa più o meno coeve ("Sollecitamente, in poco più d'un giorno di letture, adunai una raccolta di Adagi, prevedendo che questo mio libercolo, comunque fosse riuscito, sarebbe andato per le mani dei letterati in grazia, se non d'altro, della sua utilità"), e consimili per quella comune intonazione di understatement umanistico intesa non tanto a giustificare il temporaneo abbandono di Pandette e Digesti, ovvero l'ancor più biasimevole disimpegno nei confronti delle Scritture e dei Padri, quanto piuttosto a mitigare eufemisticamente la presagita fortuna di una formula capace d'intuizioni rivoluzionarie, ora realizzata come ricupero del repertorio delle sentenze proverbiali greche e latine, erasmianamente inteso in funzione di stimolo ad ampie riflessioni sull'attualità storico-politica, ora come raccolta di simboli "parlanti", e propizianti attraverso una comunicazione integrata un'approfondita ricognizione intorno ai rapporti (allusivi, metaforici, metonimici, però mai perfettamente speculari) che sogliono intercorrere tra linguaggio verbale e figurale.
Una formula che già nel caso dell'Emblematum libellus, con i suoi 113 motti originari (nocciolo di un corpus che, nelle successive edizioni, arriverà a contarne fino a 212), ciascuno illustrato e chiarito mediante ricorso al duplice svolgimento esplicativo di un carme e di una xilografia posti l'una a capo dell'altro, in vicendevole relazione, è facile oltreché vantaggioso riassumere "emblematicamente" nell'ut pictura poësis oraziano: aureo precetto sintetico d'intima concordia tra icona e parola, ambedue necessarie e sufficienti a istituire fra loro una dialettica essenziale, ma foriere di una produzione ibrida, e che perciò non sarà il caso di avvicinare troppo dappresso a tatuaggi, badges, "loghi" e via dicendo (o illustrando), tutti oggetti nei quali il potenziale espressivo appare decisamente sbilanciato a favore delle risorse significanti della cifra, o addirittura del geroglifico. Pure, proprio ai geroglifici, anzi, ai tardoantichi Geroglifici del preteso "Orapollo egizio", già circolanti in ambienti antiquari verso la fine del Quattrocento, pare si dovesse il proliferare di "quegli innumerevoli libri di simboli" la cui serie fu appunto inaugurata dall'opera dell'Alciato, prima e celeberrima "tra le raccolte di epigrammi illustrati, o di parafrasi epigrammatiche d'immagini" così popolari nel XVI e XVII secolo, e il cui intento sarebbe stato, almeno all'apparenza, quello di "complicare ciò che era semplice e rendere oscuro ciò che era ovvio" (Erwin Panofsky).
Ma, e qui ritorniamo al punto di partenza, possiamo esserne davvero sicuri? Consentiremo con l'emblematista a considerare i frutti delle sue larvate lucubrazioni quali semplici ampolle retoriche, futili quanto un poco puerili esercitazioni accademiche? Mino Gabriele, per le cui cure Adelphi ripropone ora il Libro degli emblemi alciateo in un'edizione dal corredo iconografico naturalmente ricco, criticamente fondata sulle prime due stampe (la "furtiva" augustana del '31 e la princeps parigina del '34, approvata dall'autore), parrebbe d'avviso diverso. D'altra parte, è pur vero che la "straordinaria machina visionaria" dell'emblema (apparecchiata traducendo in atto "l'idea semplice e geniale" secondo cui sarebbe stato possibile creare parole fertili di rappresentazioni concettuali "in uno sposalizio dove si ascoltasse l'immagine e si visualizzasse la parola" – si dimostra "serissima e giocosa insieme": non altrimenti seria e giocosa, verrebbe fatto di dire, che certe machinulae alle quali sempre più ci accade oramai di associare diporto e necessità, senza bisogno di richiamare ulteriori analogie (dall'uso di specifiche applicazioni nel campo del software alle interfacce grafiche di programmi determinati). Accostamento che potrà sembrare forse meno peregrino se raccordato a quel carattere di parziale automatismo mentale che apparenterebbe l'emblematica ad altre procedure culturalmente e ideologicamente affini (le arti della memoria, la metodica filosofico-immaginativa bruniana e così via), implicanti non solo una teoria normativa dell'assoluta predicabilità degli oggetti ispirata al modello della topica universale, ma altresì la spiegata disponibilità di quelle medesime procedure all'utilizzo pratico; il tutto, se si vuole, posto lungo la direttrice che insensibilmente ci condurrebbe dalla palestra di arguzie della silloge simbolica al maieutico libro "interattivo", all'e-book.
Senza troppo avvedercene, evocando le potenzialità della tecnologia ci siamo arrischiati in prossimità del vaso di Pandora delle digital humanities: e va pur detto, a questo punto, che la generale convergenza d'intenti dimostrata dalla comunità internazionale degli studiosi di emblematica nell'acquisizione elettronica dei materiali (presupposto a una complessa catena di operazioni quali creazione di metadati, lessici, apparati e protocolli di interoperabilità fra le raccolte) non sarà probabilmente dovuta al caso, bensì a una sorta di elettiva affinità. Affinità di cui il benemerito curatore dell'Alciato adelphiano – che orchestra la sua edizione sulle note di un commento assai documentato, curioso, sapido di spunti d'indagine e di fervida disamina interpretativa – è ben cosciente, pur avendo scelto a ragion veduta la trita via del "supporto cartaceo", già per sé inidoneo a soddisfare a un tempo gusto bibliofilo e acribia scientifica, scarsamente perfettibile (ma perché un indice dei nomi e non anche, anzi soprattutto, un indice degli emblemi?) e costitutivamente incapace com'è di incrementi o rettifiche che non siano quelli affidati alla buona volontà del lettore. Dopotutto, e specialmente in questi casi, l'avvenire è nell'ipertesto.
Massimo Scorsone

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Andrea Alciato

(Milano o forse Alzate, Como, 1492 - Pavia 1550) giurista e umanista italiano. Con numerose monografie sul diritto canonico e con i commentari al Digesto, contribuì al rinnovamento della tradizione giuridica italiana. In campo letterario è noto per gli Emblemata (1531), una raccolta di epigrammi che illustrano immagini e stemmi: è uno dei testi più celebri di un genere che ebbe fortuna nel rinascimento.

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