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Qualcuno un giorno - forse - tirerà le somme di questa socialità reinventata, qualcuno approderà - si spera - su un terreno di definizione più chiaro. In che dimensione siamo? Che nome ha questo luogo indistinto? E' l'abito di una nuova coralità ben coesa? La maschera goffa e complessata di una solitudine tristissima? Il gioco di un Capitale imbonitore, origliante e guardone che coi suoi tasti streganti permette alla singola libertà ogni capriccio attraverso scelte, tentazioni e aperture di ogni sorta? Il lungo elenco dell'Alias elevato a norma? Un Grande Fratello più morbido, educato? Mentre scorrevo queste paginette, profonde e sensibili più di ogni impatto intellettualistico al contrario, ossia preconcetto e snobistico in una cocciuta difesa della trombona tradizione colta (spessissimo veleno puro che si illude di farsi terapeutico coi giri a vuoto delle sue astrazioni), finivo per intrappolarmi da solo in un vicolo cieco. Sbattuto fra il buono e il viscido di questi anelli intrecciati, una galassia senza presa concreta, preziosismo e malaria, palude e cristallo, curiosità e fastidio, era impossibile costringermi a una scelta diretta, a un approdo sicuro, a un Dove e Con chi stare (anche se inconsciamente lo sapevo). Però provavo a chiedermi: si può mai vivere agognando un like da qualcuno come si trema aspettando una donna a un appuntamento? Emozionandosi trepidanti finché non la vediamo venirci incontro, e torniamo e torniamo su quella nostra frase finché quel complimentoso pollice (magari oziosamente) arriva simile a un orgasmo desolante, senza nessun calore credibile, illudendo d'essere vero solo perché si fa cosa accesa? Oppure: può crescere nella bile, per la stessa identica ragione, l'astioso verme della permalosità a causa di un semplice fraintendimento? Chi abbiamo dall'altra parte? Forse noi stessi edulcorati, forse fantasmi o reggenti o parvenze che proiettano il nostro io incastonato in altre migliaia di facce dentro qualcosa destinato a sgretolarsi.
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