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Lucien Leuwen è un antieroe, non certo nel senso militare del termine; infatti, anziché cercare di affermare la propria personalità, resta inerte e timoroso della realtà; la sua vita è una parabola di insuccessi a cui va incontro con rassegnazione; eppure, cresciuto nell'ambiente dell'alta borghesia finanziaria, a lui è aperta ogni porta e così da tenente dei lancieri nella modesta cittadina di Nancy, dove ha modo di conoscere e di frequentare una vedova bella, nobile, di spirito reazionario, riesce a diventare segretario d'ambasciata a Roma. Il suo problema è la convinzione di vivere in un mondo che non gli appartiene. E' evidente che con una base simile, nonostante i rilevanti appoggi, sia inevitabile che vada incontro a delle sconfitte, costretto a essere partecipe di quella società che non ama, succube delle costanti pressioni del padre, che è un ricco banchiere, nonché un affarista politico. In questa condizione finisce con il diventare un vero e proprio ipocrita, non tanto per procurarsi dei vantaggi, quanto per la necessità di non doversi ribellare al genitore e all'ambiente, azione che richiederebbe un coraggio che lui non ha. In una costante di tutta la narrativa stendhaliana c'è molto di autobiografico ed è così anche in questo romanzo, a partire dal padre, che ha una strana rassomiglianza di comportamento con quella del genitore dell'autore, ma anche Lucien Leuwen ha qualcosa di Henry Bayle, come la carriera diplomatica che è comune (ricordiamo che Henry Beyle fu console francese a Civitavecchia, in rappresentanza di quel paese, la cui classe dirigente detestava, quindi con un'ipocrisia nemmeno tanto celata); vedo rassomiglianze anche nel rapporto amoroso del protagonista con Batilde de Chasteller, il cui nome non a caso è pressoché uguale a quello della donna più amata da Stendhal ( Matilde Dembowski ). Da leggere senz'altro.
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