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Da quando Galileo e Newton affermarono che la natura è scritta in linguaggio matematico, il numero è diventato il baluardo di ogni certezza, in un mondo dove le certezze in genere tendevano a dissolversi. Ma che cos’è il numero stesso? Quale specie di esistenza dovremmo attribuire a questi esseri che governano tutta l’esistenza? Quando i matematici elaborano le loro costruzioni, scoprono in quel momento qualcosa che esiste già o inventano un artificio? E, se si tratta di un artificio (spesso astruso), come si spiega che alcune remote realtà macrofisiche e microfisiche gli corrispondano così docilmente? Come si spiega non solo che i matematici si ostinino a cercare la luna nel pozzo (cosmico), ma che talvolta ce la trovino? Nella cultura occidentale, da Platone in poi, tali domande sono state poste senza tregua. Intanto i matematici procedevano imperturbabili a espandere il loro reame. Ma negli ultimi cento anni hanno finito anch’essi per turbarsi, perché l’intimità del rapporto fra matematica e scienza sperimentale riproponeva gli antichi quesiti con nuova urgenza. Ebbe così origine una crisi dei fondamenti che si può dire non sia mai finita (e finirà mai?), mentre gli studiosi si spartivano in tre scuole fondamentali in lotta fra loro come altrettante tribù. Non c’è forse al mondo nessuno che possa introdurci con l’efficacia di John Barrow a tali dispute, che coinvolgono più o meno tutto (o il tutto). In questo libro – dopo che nel precedente, fortunato Il mondo dentro il mondo si era chiesto «perché le leggi di natura hanno forma matematica» – Barrow, con passo leggero, conduce il lettore dapprima attraverso i sistemi di computo delle più antiche ed eterogenee culture, in una sorta di iniziazione all’entità prima, il numero, della quale vuole cogliere la natura. Prosegue poi esaminando la posizione delle tradizionali scuole – formalisti, convenzionalisti, intuizionisti – che continuano a confrontarsi sui fondamenti della matematica.
Recensioni
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scheda di Magni, A., L'Indice 1995, n. 7
Il mondo è intrinsecamente matematico e la nostra mente riflette questo fatto, o invece il ragionare matematico si è proiettato dalla nostra mente sul mondo? Questo dubbio radicale è forse una delle motivazioni più profonde del libro di Barrow. Ed è anche all'origine del bellissimo titolo della versione inglese, che si potrebbe parafrasare in: "Pi in the sky, or pi in the brain?", dove pi è il nostro 'p greco', numero irrazionale celeberrimo. Uno dei metodi che Barrow segue, per affrontare questo problema, è lo studio della formazione del concetto di numero nelle popolazioni primitive. Si tratta di un'indagine approfondita che sicuramente farà la gioia dell'antropologo, prima che del matematico. Le conclusioni, provvisorie, di Barrow, possono essere sorprendenti per chi creda nella presenza innata di certe conoscenze matematiche nel cervello umano
Di fatto, a certe conquiste fondamentali, come il numero zero, o il sistema numerico posizionale, arrivarono pochissime civiltà. Queste diffusero poi tale conoscenza alle altre popolazioni: dunque la matematica avrebbe anche potuto non svilupparsi. Nell'evolversi la matematica conservava un contenuto semantico, ovvero sono rintracciabili nei suoi enunciati relazioni con la realtà esterna; questo, secondo l'autore, l'ha resa uno strumento ideale per la fisica: la matematica descrive la realtà. Che si dovessero gettare le basi di una filosofia della matematica, oltre che limitarsi semplicemente a fare matematica, divenne progressivamente chiaro fra fine Ottocento e i primi decenni del secolo. Lo studio approfondito delle geometrie non euclidee mostrava come il mondo potrebbe seguire una geometria differente e pur tuttavia coerente; con curiosa sintonia, la relatività generale di Einstein era alle porte per convalidare questa tesi.
Al congresso internazionale di matematica di Parigi, nel 1900, Hilbert esponeva il suo celeberrimo programma, proponendo ventitré problemi, gli ultimi a suo parere che presentasse ancora la matematica prima della sua sistemazione definitiva. Tre decenni dopo, nel 1931, i due teoremi di Godel distruggevano bruscamente questo progetto. Questi teoremi, che di recente sono citati spessissimo e spesso a sproposito, sono esposti da Barrow con grande chiarezza, cosa rara. I limiti che l'opera di Godel pone alla possibilità di sviluppare sistemi logico-deduttivi non contraddittori sono oggi considerati di importanza cruciale nell'ambito delle ricerche sulle cosiddette "Teorie del Tutto": se mai verrà scritta, una teoria del tutto dovrà essere costruita con strumenti matematici affidabili.
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