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Anno edizione: 2018
Anno edizione: 2018
Anno edizione: 2022
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Vincitore Premio Strega 2019, proposto da Francesco Piccolo.
Il primo romanzo sul fascismo raccontato attraverso Benito Mussolini: il figlio di un secolo che ci ha reso quello che siamo.
«Con M Scurati ha raggiunto la maturità artistica di chi guarda finalmente in faccia il suo demone e può chiamarlo per nome: Mussolini, il nome della nostra sconfitta» – Daniele Giglioli, la Lettura
«Il romanzo che l’Italia aspettava da decenni. Un capolavoro» – Roberto Saviano
«Un esperimento narrativo mai tentato prima nella cultura letteraria italiana» – Simonetta Fiori, il venerdì
"Io sono lo sbandato per eccellenza, il protettore degli smobilitati, lo sperduto alla ricerca della strada. Ma l'azienda c'è e bisogna portarla avanti. In questa sala semivuota, dilatate le narici, fiuto il secolo, poi tendo il braccio, cerco il polso della folla e sono sicuro che il mio pubblico ci sia."
Lui è come una bestia: sente il tempo che viene. Lo fiuta. E quel che fiuta è un'Italia sfinita, stanca della casta politica, della democrazia in agonia, dei moderati inetti e complici. Allora lui si mette a capo degli irregolari, dei delinquenti, degli incendiari e anche dei "puri", i più fessi e i più feroci. Lui, invece, in un rapporto di Pubblica Sicurezza del 1919 è descritto come "intelligente, di forte costituzione, benché sifilitico, sensuale, emotivo, audace, facile alle pronte simpatie e antipatie, ambiziosissimo, al fondo sentimentale". Lui è Benito Mussolini, ex leader socialista cacciato dal partito, agitatore politico indefesso, direttore di un piccolo giornale di opposizione. Sarebbe un personaggio da romanzo se non fosse l'uomo che più d'ogni altro ha marchiato a sangue il corpo dell'Italia. La saggistica ha dissezionato ogni aspetto della sua vita. Nessuno però aveva mai trattato la parabola di Mussolini e del fascismo come se si trattasse di un romanzo. Un romanzo – e questo è il punto cruciale – in cui d'inventato non c'è nulla. Non è inventato nulla del dramma di cui qui si compie il primo atto fatale, tra il 1919 e il 1925: nulla di ciò che Mussolini dice o pensa, nulla dei protagonisti – D'Annunzio, Margherita Sarfatti, un Matteotti stupefacente per il coraggio come per le ossessioni che lo divorano – né della pletora di squadristi, Arditi, socialisti, anarchici che sembrerebbero partoriti da uno sceneggiatore in stato di sovreccitazione creativa. Il risultato è un romanzo documentario impressionante non soltanto per la sterminata quantità di fonti a cui l'autore attinge, ma soprattutto per l'effetto che produce. Fatti dei quali credevamo di sapere tutto, una volta illuminati dal talento del romanziere, producono una storia che suona inaudita e un'opera senza precedenti nella letteratura italiana. Raccontando il fascismo come un romanzo, per la prima volta dall'interno e senza nessun filtro politico o ideologico, Scurati svela una realtà rimossa da decenni e di fatto rifonda il nostro antifascismo.
Indice
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
capolavoro come narrazione come documentazione. scrittura perfetta
Buono
preso e ripreso più volte ma stenta decollare, senza ritmo, leggendo le recensioni l'ho ripreso più volte ma sepre una fatica ad andare avanti, ho comprto pure il secondo libro, stessa fine del primo.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
IL RIFUGIO DELL'IRCOCERVO - letterature, mondi e animali mitologici
Esiste soltanto un aggettivo adatto a descrivere M, ed è grande. Una grandezza che, nel romanzo di Scurati, si declina in molte forme.
Innanzitutto è una grandezza fisica: spesso definito “monumentale” dai critici, il libro raggiunge le 848 pagine, ed è solamente il primo volume di una trilogia che si ripromette di coprire tutta la storia del fascismo, ascesa e declino. In secondo luogo la mole di riferimenti, documenti, testimonianze che esso contiene e rielabora è immensa e, in un certo senso, spaventosa. Grandioso è lo stile, al punto da risultare spesso complicato e a volte pesante.
Infine, non si può non riconoscere l’impegno profuso dall’autore nel recuperare e rielaborare i documenti dell’epoca, e soprattutto il coraggio nel riesumare e ripresentare al mondo Benito Mussolini – l’uomo che, nel bene e nel male, ha influenzato in modo irreversibile il destino dell’Italia.
Sebbene si tratti di un romanzo, e non di un saggio, M si caratterizza per l’aderenza alla realtà: ogni fatto, ogni dialogo, ogni evento è documentato oppure deducibile dalle fonti. Il legame tra queste e il testo è evidente: i capitoli (a loro volta compresi in sei macrosezioni che coprono gli anni 1919-1924, dalla fondazione dei Fasci di combattimento al delitto Matteotti) sono sempre introdotti da brani di diario, lettere, articoli di giornale.
Se da un lato questa scelta ha un valore positivo (raramente, in un romanzo storico, il lettore trova questa volontà di attenersi alla realtà dei fatti), non mancano i lati negativi: per prima cosa, eventuali errori risaltano con più evidenza; dall’altro, la narrazione fatica a volte a staccarsi dalle fonti, che vengono utilizzate così come sono, in modo non sempre armonico. Mi riferisco, ad esempio, all’attribuzione dell’espressione “il cane del suo nulla” a D’Annunzio: una scelta quasi superficiale, descrivere il poeta con le sue stesse parole.
Scopo manifesto di Scurati è raccontare il fascismo in ogni sua caratteristica, senza preconcetti, adottando anche il punto di vista degli esponenti del movimento/Partito. Il risultato, di cui si sentiva in realtà il bisogno, è un’opera imparziale, equilibrata, in cui l’autore scompare per lasciar spazio alla voce dei protagonisti (dai “grandi” Matteotti, Mussolini, D’Annunzio, a personaggi meno noti come Nicolino Bombacci e Cesare Rossi). Scurati riesce nella difficile impresa di non ricadere nello stereotipo della lotta fra Bene e Male. Ogni personaggio è particolare, ha ombre e luci: qualcuno è brutale, qualcuno è ipocrita, qualcuno è coraggioso, ma Scurati non esprime alcun giudizio, tuttalpiù riporta i pensieri dei contemporanei.
Ciò detto, ritengo sbagliato leggere e valutare M soltanto per il messaggio che porta, per la funzione che può avere per l’Italia attuale. L’intento dell’autore, per quanto meritevole, non può far dimenticare che si sta parlando di un’opera letteraria, e come tale va valutata.
Durante la lettura si riscontrano alcune imprecisioni (ad esempio, l’espressione “la grande proletaria” attribuita a Carducci anziché a Pascoli) di per sé minime, che risultano piuttosto gravi per un libro che si pregia di essere assolutamente veritiero.
Lo stile rappresenta un altro elemento di debolezza: pur nella consapevolezza che i temi trattati richiedono un linguaggio peculiare, come è avvenuto per Mio padre la rivoluzione, la lettura è stata faticosa, lenta, asfissiante.
Infine, la mancanza più eclatante: in un’opera che fin dal titolo richiama l’importanza della figura di Mussolini, all’interno del libro il Duce sembra sfuggirci. O meglio, si conoscono le sue azioni e le sue posizioni politiche, ma si ha l’impressione che l’autore, nel tentativo di rimanere super partes, non sia riuscito ad afferrare o a trasmettere l’essenza dell’uomo. Per fare un paragone, Scurati appare come uno studente sì preparato, ma che non ha la totale padronanza dell’argomento.
In conclusione, M è un’opera innovativa che dà freschezza a una letteratura e a un periodo troppo spesso imbrigliati nella dicotomia fascismo-antifascismo, e ha il merito di descrivere un’epoca difficile senza sbilanciarsi in pareri personali. Alcune mancanze e disattenzioni, tuttavia, unite a uno stile forse troppo complesso, fanno sì che il libro sia meno gradevole del messaggio che trasmette.
Sonia Aggio
I vincitori del concorso “Caccia allo Strega” 2019
Francesco M. – Recensione stregata scelta da Antonio Scurati
"Io sono una forza del passato". Pier Paolo Pasolini viene scelto in epigrafe per uno dei romanzi italiani indubbiamente più innovativi degli ultimi anni. Benito Mussolini è stato tante cose: un dittatore, un fascista, un benefattore, un inetto. Si può credere o negare che abbia interpretato questi personaggi, eppure è innegabile il comune denominatore di tutte le sue possibili sfaccettature: la sua stessa possente presenza, la sua figura in quelli che furono anni decisivi, disastrosi per l’Italia (1919-1925). Il romanzo di Scurati non è un elogio al fascismo, né un’aspra critica nei confronti del dittatore. Piuttosto, è uno strumento letterario che permette al lettore di entrare in contatto con il personaggio di Mussolini e con il suo contesto, con il fine d’inquadrare le dinamiche di quel periodo da una visione più ampia non per giustificarne le scelte, ma per avere più angolazioni possibili da analizzare. La ricostruzione storica di fatti e personaggi (mediante lettere, diari, documenti storici, etc.) veicolata tramite una narrazione fluida, intrigante, stimolante (propria dei romanzi d’inchiesta) costituisce la chiave di volta dell’opera e rende la lettura estremamente affascinante, utile per inquadrare una storia ben nota agli italiani ma di cui si deve necessariamente continuare ad approfondire, affinché, come sottolineò Primo Levi, gli errori del passato non si ripetano nel presente. Personalmente, sono fiero di questo libro. Dopo aver letto romanzi contemporanei come quelli di Cercas e Aramburu, era il momento di annoverare, tra le fila dei romanzi impegnati in questioni sociopolitiche, anche il nome dell’italiano Antonio Scurati. Se nella realtà dei nostri giorni persistono forme di fascismo, la letteratura costituisce un’ulteriore voce che ha bisogno di essere ascoltata, quantomeno per ricordare la nostra storia e cercare di non ripeterla. Copertina: 3 Storia: 5 Stile: 5
Vladi
Avessi letto questo libro prima della maturità tutto sarebbe andato diversamente nella mia vita. Quando dopo aver dignitosamente analizzato “Il Piacere” accennai, per farmi bello, ad un’amicizia tra D’Annunzio e Mussolini e l’esaminatore mi disse: “Ah bene, parliamo di questo rapporto di amicizia!”…beh probabilmente non avrei farfugliato in modo sbrigativo “si conoscevano… bene…” Bando agli scherzi, non sono in grado di dire quanto sia accurata la ricostruzione storica dei fatti, ho letto alcune critiche in questo senso nelle altre recensioni, quello che è certo è che una volta iniziata la lettura è veramente difficile interromperla. Bellissime, secondo me, le testimonianze dell’epoca, inserite tra un capitolo e l’altro, costituite da articoli di giornale, lettere private, circolari riservate ai prefetti o rapporti scritti da funzionari di pubblica sicurezza. La frase spesso usata in questi casi “parla di eventi ancora attuali” acquista un nuovo significato. Scurati infatti non tenta di trovare o suggerire analogie col presente ma, al contrario, risucchia il lettore indietro di cent’anni e lo costringe a vivere la tensione di una realtà violenta dove era possibile e frequente venire picchiati a morte nel cuore della notte, mentre si dormiva in casa propria. Resta alla fine l’impressione di aver viaggiato nel tempo ed è una sensazione entusiasmante. Copertina 5 Storia 5 Stile 5.
FLAVIO ALBERTO DE MARCO
Avrei sempre sperato si potesse in Italia riservare a M. la sacrosanta "damnatio memorie" degli antichi romani; purtroppo non è così perché i veri conti con il fascismo non sono mai stati fatti nel nostro sciagurato Paese. Scurati ha il merito di provare ad archiviare questa storia nazionale così intrigante e ancora irrisolta con un romanzo appassionante, icastico, perverso, enfatico, fumettistico, feroce e doloroso. Impressionanti i documenti, bellissimo il ritratto di Matteotti, vero eroe politico degli anni '20. Storia (5), Stile (5) e Copertina (5).
Riccardo
Una sola parola: catartico. Sì, questo è l'aggettivo che più si addice a questo romanzo che penetra e incendia - attraverso una purezza e una nobiltà di contenuti - la coscienza di noi lettori: vecchi, giovani, operai, professori, studenti, dottori. Tutti. Perché non vuole essere un volume magniloquente o vanitoso, tutt'altro, è alla nostra memoria che vuole arrivare, con umiltà e oggettività, è il nostro passato che vuole rispolverare. Il fine primo e a mio avviso più grandioso e autentico di "M IL FIGLIO DEL SECOLO" è quello di farci schiantare contro, collidere con ciò che siamo stati - è inutile negarlo -, per ricordarci che, alle volte, basta un nulla per sovvertire il cammino di un paese. E una sala con meno di cento persone è un particolare non banale. Copertina:4 Storia:5 Stile:5
Rocco Bochicchio
M è un romanzo potente, scritto con un linguaggio evocativo, che risveglia sensazioni: i canti degli Arditi, l'unto delle osterie, il fumo delle sigarette, il rombo degli aerei, il rumore degli scarponi nelle marce, il rosso delle bandiere socialiste e del sangue delle vittime, il nero delle camicie e dell'odio fascista, l'imminenza di un cambiamento inevitabile. M è il romanzo dell'inesorabilità della sconfitta della rivoluzione rossa in Italia, mai davvero iniziata, e della vittoria fulminea del Fascismo. M è l'ansia incalzante verso la marcia su Roma, che tuttavia passa quasi in secondo piano rispetto ai torbidi scenari che si celano dietro le quinte dei palazzi e del potere, dove si decide il futuro del Paese appena uscito dalle macerie della guerra. M è Mussolini, figlio del secolo, ancora embrione di ciò che la storia ci consegnerà ma già faro del più grande cambiamento della giovane Italia unita. M è però anche Matteotti, l'unico vero antagonista di Mussolini, pietra miliare dell'antifascismo, che si erge solitario a sfidare la marea nera e ne viene drammaticamente travolto, senza tuttavia esserne mai davvero sepolto. M è una vittoria facile e quasi fantasma sulle ceneri di uno Stato mai veramente in grado di tenere le redini della situazione del Paese, stanco di lotte intestine, il quale si affida ciecamente a chi fa della violenza pura l'arma principale del consenso, preludio comunque fatale al crollo che è ancora lontano ma che pure sempre si legge tra le righe. M è una serie di fotografie in bianco e nero, che si legge come sfogliando un album di istantanee su momenti fatali lungo tutto il percorso di gestazione, di nascita e di primi anni di vita del Fascismo e degli uomini che ne sono stati artefici. M è in ultimo una fotografia a colori di un pezzo della nostra storia, che non può essere cancellato, ma che è servito per essere ciò che siamo e soprattutto affinché non diventiamo più ciò che di terribile siamo stati. Copertina:4 Storia:5 Stile:5
Due anni fa ho avuto l’onore di partecipare al Premio Strega e il privilegio di farlo senza avere reali possibilità di vittoria, cosa che mi ha permesso di osservare il rito e i suoi effetti con il necessario distacco: nel corso di quei mesi mi colpì in particolare un fatto: quando la favorita era Teresa Ciabatti con La più amata, nella “bolla” del campo letterario, critico ed editoriale, che si allarga fino a blogger e lettori fortissimi, stavano tutti per Paolo Cognetti e Le otto montagne; quando però poi Cognetti ha vinto, sono tornati tutti ciabattiani. Il fatto è tanto più curioso perché si trattava in entrambi i casi di romanzi eccellenti, firmati da autori di solida fama letteraria: pure, la loro stessa letterarietà veniva messa in dubbio non appena si profilava all’orizzonte la possibilità di un successo commerciale. Le stesse persone che si sperticavano in elogi per lo stile icastico e puntuale del Cognetti dei libri minimum fax, ora erano in prima fila ad affibbiare a quello (invero ancora più compiuto) del Cognetti Einaudi e “stregato” la degradante etichetta di midcult.
Specchio di un paese incarognito? Forse è un parallelo troppo facile, ma ecco che torna alla mente la presentazione di M di Antonio Scurati, dove l’autore è stato contestato da tre persone, una che riteneva il libro troppo poco antifascista, un’altra per cui lo era troppo, e una che non aveva gradito i paralleli col clima populista odierno. Segnali di uno Zeitgeist – ma anche del fatto che il libro è riuscito, e infatti lo è: scrittura muscolare, immedesimazione forte, grande senso della storia come flusso emotivo se non spirituale. E tutti subito a criticarlo: in classifica? Ci deve essere qualcosa sotto… Ecco allora, forse, il punto: la tracimazione della mentalità complottistica nel pensiero generale, al punto di credere che ciò che è bello debba per forza essere anche nascosto.
Vanni Santoni
C’è titubanza, ammettiamolo. Non solo per via del numero delle pagine, più di 800. Ma, anche e, soprattutto, per quella lettera M scritta a caratteri cubitali che sovrasta l’intero fronte della copertina. Una titubanza che, però, viene presto sostituita da curiosità. Sì, perché comprare il nuovo libro di Antonio Scurati significa accettare una sfida: quella di prendere la figura del Mussolini politico e unirla a quella di Mussolini uomo, leggervi l’emozione laddove vi è la strategia, capirne il pensiero laddove tutto sembra privo di logica.
A metà tra il memoir ed il reportage, tra il romanzo storico ed il saggio, l’autore si preoccupa di dar voce, con minuziosa precisione, ai principali protagonisti del post guerra italiano. E benchè sia una storia dal finale già scritto e noto, Scurati riesce a catturarci con le sue parole, riportarci indietro nel tempo, durante quei sei anni che seguono la fine della Prima Guerra Mondiale e che vedono il fascismo nascere, crescere e poi dilagare.
Sono anni difficili, confusi, stanchi: l’Italia, uscita trionfante dalla Grande Guerra, sul carro dei vincitori, in realtà, non ci salirà mai. E questo lo sanno gli Americani, che negano al popolo italiano qualsiasi ricompensa territoriale. Lo sa D’Annunzio che, dismessi i panni del poeta, decide di trascinare gli italiani in una nuova, folle impresa: quella di Fiume. E lo sa Mussolini quando, il 23 marzo 1919, in una misera sala riunioni del Circolo dei commercianti e degli industriali di Milano, davanti a poche decine di facce smagrite ed abbattute, fonda i Fasci di combattimento.
Ma chi è il Mussolini dipinto da Scurati?
È il bambino che gironzola per le campagne romagnole e piange la nonna defunta; è il maestro di scuola che cammina con le scarpe in mano per non consumarne la suola; è il socialista rivoluzionario che, dopo dodici anni di militanza, viene espulso dal suo stesso partito; è lo stratega che riesce a stringere patti con tutti ed essere fedele a nessuno; è il politico ferito, preso il giro, ridicolizzato, dato per finito che riesce a trasforamare pochi reduci di guerra dapprima in un movimento, poi in un partito politico, infine in un esercito.
È il carneficie imperturbabile che, con le mani ancora coperte dal sangue di Matteotti, davanti alla vedova disperata che chiede dove sia il marito, riuscirà a dire “ Non so nulla, signora.”
Con questo romanzo dotato di un straordinario impatto emotivo, Antonio Scurati si conferma essere una delle voci storiche più brilanti dei nostri tempi, regalandoci il ritratto di un uomo che, per molti anni, è stato il ritratto di un paese intero.
di Elena Righetti
Si ringrazia il Master BookTelling
Se decidi di leggerti un libro di ottocentoventisette pagine e se decidi di fregartene della canicola di agosto per rimanere in stanza con quel mattone anziché sbollentare al mare, un motivo ci deve essere per forza. E non può essere solo che M. Il figlio del secolo (827 pagine, 24 euro), edito da Bompiani, abbia trionfato alla LXXIII edizione del Premio Strega. È importante, ma non basta. Deve esserci dell’altro. E posso assicurarvi che dell’altro ce n’è eccome!
Antonio Scurati – che è antifascista convinto, lo diciamo per tranquillizzare i più diffidenti – ripercorre i primi anni di vita dei Fasci di Combattimento, partendo dal 1919, anno in cui uno sconosciuto Benito Mussolini darà vita a quella controversa forza politica che, nel giro di pochi anni, conquisterà l’intero Paese. La parabola che descrive è avvincente, non solo per i suoi riverberi storici, ma anche per la fluidità e la potenza linguistica con cui ne romanza gli avvenimenti. Scurati non privilegia uno stile giornalistico, crudo e asettico, ma adotta una ricca sequenza di espressioni belle, evocative, liriche che bene restituiscono l’intensità e la potenza di quegli anni tumultuosi.
Il suo non è solo un approccio storiografico: al centro di tutto colpisce l’evidente indagine psicologica del personaggio. Il futuro duce d’Italia è esposto al lettore attraverso i suoi slanci, le sue incoerenze, i suoi opportunismi. Dalla lettura ne emerge una figura funambolica, un animale politico, una persona disposta a molto – forse non a tutto – pur di conquistare il potere. E allora eccolo che briga, traccheggia, incontra, trama, complotta, ordisce, pianifica, rischia, pondera, azzarda, analizza, rettifica. Il mondo sembra curvarsi in favore di questo umile maestro di provincia che dalla redazione del suo giornale, nell’ormai scomparso quartiere milanese del Bottonuto, tenta la scalata sociale. Gli sono accanto uomini e donne che, a vario titolo, ne favoriranno il successo, facendolo diventare inesorabilmente il figlio del secolo: Margherita Sarfatti, la nobile amante che lo introdurrà nei circoli dell’alta borghesia; Gabriele D’Annunzio, l’ombra lunga che minerà il suo carisma; i futuri gerarchi in camicia bruna che armeranno suo pensiero; Giacomo Matteotti, la voce fuori dal coro, il dissidente, la cui morte rischierà di comprometterne i piani di conquista.
Ogni persona, ogni evento concorrerà alla sua ascesa in un mix micidiale di fortuna, azzardo, violenza e calcolo politico. I parallelismi con le attuali vicende italiane sono fin troppo scontati: forse è anche per questo motivo che il libro seduce. Perché sebbene siano passati cento anni, il tempo sa essere ironico, immutabile, pronto a sfidarci di nuovo.
Recensione di Alessandro Orofino
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