Fin dal titolo si rivela l'ambizione e la complessità del libro di Tomasello, a più livelli. Utilizzando il famoso refrain dell'omonima canzone di Rodolfo De Angelis del 1933, l'autore esplicita immediatamente il gioco di rimandi tra epoche differenti che caratterizzano il suo testo, che opera uno scavo analitico dei diversi momenti storici italiani dagli anni sessanta a oggi. Questa analisi si intreccia sempre con la ricerca delle trasversalità non ovvie, che permettono di individuare alcuni elementi ricorrenti, a un tempo profondamente radicati nel contesto storico e culturale che li produce, ma per certi versi espressioni di una tipicità atemporale, o piuttosto agente su temporalità più ampie, che sembra caratterizzare la società italiana nel suo insieme come una persistente filigrana. L'Italia del malessere, come recita il sottotitolo, una nazione che non sembra mai realmente convinta del proprio potenziale e che appare segnata strutturalmente da una fragilità e da uno scetticismo quasi antropologico prima ancora che storico. Su un secondo livello, la scelta di utilizzare una canzone popolare per riflettere su questioni sociali, storiche e culturali di grande rilevanza, denota un approccio tipico dei cultural studies, in cui le narrazioni, i libri e i film non si limitano mai a essere semplici finestre trasparenti che mettono direttamente in comunicazione con gli aspetti delle realtà che raccontano, ma piuttosto si pongono come specchi che permettono di far emergere delle informazioni non così ovvie o appariscenti sui contesti culturali e sociali da cui questi stessi testi vengono generati e che, in qualche modo, a loro volta influenzano nel momento della ricezione pubblica, oltre una pura dimensione autoriale, creativa e narrativa, che va certamente considerata in riferimento alle stilizzazioni, deformazioni e personalizzazioni, ma che comunque non depotenziano la possibilità di interrogarsi sulle dinamiche più profonde di un'epoca e di una nazione. In questa prospettiva, il libro utilizza il cinema e la letteratura come cartine di tornasole della cultura nazionale, identificando nel concetto di crisi l'elemento chiave che l'ha contraddistinta negli ultimi sessant'anni. Attraverso una filmografia che va da Una vita difficile (1961) di Risi fino a Reality (2012) di Garrone, utilizzando la commedia nelle sue varie declinazioni come specchio paradossalmente più fedele di un paese che tende a mascherarsi e a vivere di iperboli, salvo poi ritrovarsi con il retrogusto amaro che lascia una risata forzata, Tomasello rilegge la stagione del boom e del "miracolo" economico come momento di incubazione del germe della crisi, che poi si manifesta tra gli anni settanta e gli anni ottanta in forme diverse solo in apparenza, che però per l'autore sono strettamente interconnesse, come dimostrano molti film e alcune canzoni simbolo dell'epoca. Anche la letteratura partecipa al costante ridimensionamento dell'ostentato ottimismo di facciata, attraverso autori quali Calvino e Pasolini, Bianciardi e Volponi, fino a Tondelli, Siti e Saviano, in una galleria di antieroi il cui tratto unificante sembra essere un perpetuo quanto inutile anelito di ricerca del successo e del miglioramento del proprio status, che talvolta può tradursi in un'effettiva promozione sociale, ma praticamente mai coincide con una reale soddisfazione del proprio io, troppo intaccato dai continui e quotidiani compromessi, o peggio, cui si appare costretti nell'Italia del malessere. Michele Marangi
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