Maestoso è l'abbandono
- EAN: 9788898983322

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«Ci sono gli amori che hanno a che fare con i percorsi, quelli che hanno a che fare con la solitudine e poi ci sono quelli che non servono a niente, gli amori altissimi.». Prendere le distanze dal mondo, e sentirsene sempre più parte. Questa è la storia di una donna, e del suo pensiero magico, che giorno dopo giorno le si attacca addosso. È la storia di quello che si nasconde tra le pieghe del reale ed è invisibile. La incontriamo, dopo troppi campari, davanti a una porta chiusa, alle prese con un addio maldestro e poetico: la decisione di abbandonare, dopo anni - secoli? - di sensi di colpa e compassione, di fallimenti e rimpianti, un uomo al quale non crede più. «Mi capita di aspettarlo ancora, azzero per un momento la vastità dei fenomeni incomprensibili ed entro di nuovo lì, dove si poteva credere a tutto e io venivo fermata, risarcita, protetta.» Alla psicoanalisi si sostituisce l'incanto, e poi alcuni incantesimi, piccoli riti magici, scintille astrali, tutto ciò che non ha ancora un nome, fa un po' di luce, non è divino, ed è per questo indicibile. E infine, al pari di un'iniziazione, l'amore incondizionato per un uomo assurdo, poetico, scostante, la cui ritrosia somiglia a una cura.

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14/01/2020 09:16:35
A volte capita che un libro respinga. Così come ce ne sono alcuni da cui si fatica a separarsi, ce ne sono altri che che non coinvolgono mai del tutto. Come questo. Pur ricco di frasi meravigliose, non posso dire che sia una delle migliori letture fatte in questi ultimi mesi, probabilmente per causa mia, forse non ho lo stato d'animo giusto per affrontare questo modo di raccontarsi.
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11/09/2018 09:29:26
Quanta potenza in un solo libro. Maria è una protagonista ipersensibile vittima delle parole del Dottor Lisi al quale chiede aiuto e delle incomprensioni, fino a quando riuscirà a staccarsi da tutto e a capire che passato e futuro non esistono, e nemmeno le voci degli altri. Esiste solo ciò su cui si posa il nostro sguardo, qui ed ora.
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23/05/2018 21:22:33
Un libro delicato e poetico, che usa una lingua ricca ed evocativa, mai banale, noiosa o lasciata al caso. Un'attenzione alle parole che raramente si ha occasione di incontrare nella maggior parte della narrativa pubblicata oggi in Italia. Io l'ho letto in un giorno, e ho continuato a sfogliarlo a lungo, solo per il piacere di rileggermi alcuni passaggi. Maestoso è l'abbandono è libro prezioso e umile. Non capisco come la cura possa essere scambiata per ego. Ci si innamora dei narratori forti e questa storia è narrata da uno di loro, fin dalla prima pagina ci affidiamo alla voce di Maria, la protagonista del libro, che racconta la sua storia di bambina cresciuta in una famiglia tutta particolare, la sua storia d'amore poco materialista, la ribellione all'analista, e il suo rapporto con la mamma, che a me ha ricordato la splendida storia di Beatrice Masini, "Se è una bambina". Insomma, leggetelo, regalatelo, rileggetelo, lasciatelo su una panchina in modo che qualcuno possa trovarlo e leggerlo e "abbandonarlo" da qualche altra parte e così via. È un libro per persone speciali, che non hanno obiettivi, che non si sforzano di ottenere nulla, ma che restano in ascolto e amano. Uno dei migliori esordi degli ultimi anni.
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18/05/2018 09:19:08
ho comprato questo libro sull'onda di un grandissimo entusiasmo. poi è anche diventato libro del mese su fahrenait. bene. penso che sia uno dei libri più inutili che abbia letto negli ultimi 15 anni. non si capisce qual è la trama, non si capisce qual è l'obiettivo di questo libro. vi è un trasudare continuo e disturbante di autoreferenzialità, come se ci fosse la necessità da parte della scrittrice di snocciolare ogni 20 parole quanto sia colta, quanto abbia letto, quanto ne sappia di analisi e di altre cose erudite. la lettura è stancante e sfinente perchè veramente non si capisce cosa sta dicendo e cosa sta raccontando. evitabile.

Nell’ultimo decennio, “ombelicale” pareva diventato l’insulto peggiore per un libro, un’autore o un’intera, supposta, letteratura, la cui ampiezza era forse il prodotto dell’infornata di esordienti seguita al successo avuto da alcuni di essi a metà anni zero: difficilmente, infatti, un autore al primo libro va troppo lontano dal proprio ombelico (né ciò è per forza un difetto: il recente Maestoso è l’abbandono di Sara Gamberini è un esempio di narrazione ombelicalissima eppure valida); se è vero, allora, che la “bolla degli esordienti” nel frattempo è esplosa, apparirà normale che oggi, cresciuti gli autori e tornate le case editrici a diffidare degli esordî, sboccino opere che vanno nella direzione opposta: quella della creazione di mondi.
Vanni Santoni

Gamberini, imparare il distacco nell’amore
Nel romanzo introspettivo dominano il mondo interiore dei protagonisti, le emozioni e gli stati d’animo che sgorgano dal profondo, i processi psichici e le riflessioni più o meno consce: i personaggi compiono un vero e proprio viaggio nella propria anima, rischiando di affondare i piedi nella palude delle paure. Il lettore è proiettato nel succedersi di continui avvenimenti che, spesso, appaiono scollegati tra di loro, nei flashback che lo lanciano nei ripetuti riferimenti a situazioni avvenute nel passato, nei reiterati flussi di coscienza che riportano in superficie ricordi ed emozioni, anche dello stesso lettore. Sostenere il peso di siffatta intimità con lo scrittore non è facile e, per tale motivo, un romanzo introspettivo o si ama o si odia. Succede lo stesso con Maestoso è l’abbandono (201 pagine, 15 euro), il libro d’esordio di Sara Gamberini, pubblicato dalla casa editrice Hacca. Se siete pronti, vi guido nel viaggio verso l’interiorità della sua protagonista
«Tutte le strade portano all’abbandono». È la frase del libro di Gamberini che, più di tutte, riassume l’inquietudine di Maria, una donna alla ricerca di risposte alle domande sul senso della vita. Risposte che tenta, dapprima, di trovare nella fede in Dio («Da piccola sono stata cattolica per qualche tempo, parlavo a Dio inginocchiata davanti le aiuole, gli chiedevo di liberare Aldo Moro, mi rivolgevo a lui per le emergenze»), lo stesso Dio che, ben presto, si trasforma in un punitore terrificante, una coscienza morale appuntita che la perseguita e le chiede continui sacrifici estenuanti: è a questo punto che una paura cupa, simile a uno spavento, si impossessa di lei («Secondo la psicoanalisi soffrivo di ansia da separazione e di propensione a spezzare i legami. Ma io avevo paura di allontanarmi da tutto»). È la paura dell’abbandono. Maria ha un rapporto profondo e complesso con il dottor Lisi, il suo psicologo: tenta di trovare un equilibrio tra il bisogno di rifugiarsi nei suoi consigli, nei suoi ammonimenti, e l’esigenza di affrancarsi da una quasi dipendenza che la lega al medico. Anche il rapporto con Lorenzo, collega di lavoro con il quale inizia una relazione, è complesso, conflittuale, insicuro, nonostante lei lo ami senza riserve.
La protagonista sente il bisogno di prendere le distanze dalle persone perché, a ogni separazione, l’ansia la minaccia di morte: è la paura di staccarsi prematuramente da qualcuno che si ama, il timore di non riuscire a colmare il vuoto. Però, dopo anni di sensi di colpa, di rimorsi, di rimpianti, riesce a chiudere la porta, a dire addio al dottor Lisi, l’uomo al quale non crede più. Alla psicoanalisi si sostituisce l’amore incondizionato per un altro uomo che diventa malattia e cura, allo stesso tempo, in un equilibrio precario tra bisogno di calore umano e desiderio di allontanarsi da tutto: Maria non sa modulare il distacco, non sa trovare la distanza giusta dal resto del mondo, ha paura di ogni cosa e ciò la spinge ad andare incontro a chiunque, senza riserve, senza alcun filtro, perché solo le persone che hanno ricevuto amore possono fare a meno di tutto. E lei vorrebbe, ma non ci riesce.
«Il dottor Lisi mi assicurò che un giorno avrei provato compassione per mia madre che non aveva colpe se non quella di avere sofferto. Invece io l’avrei amata senza mai perdonarla per il resto della vita perché così voleva il fato». Sono commoventi le lettere che Maria scrive alla madre, una donna troppo occupata per potersi prendere cura della figlia. Qui si può trovare la fonte di ogni male, l’origine di quella paura irrazionale dell’abbandono, della separazione («Ho nel cuore un abbandono, per questo sono selvatica […] Nel mio cuore conservo un dolore»). L’infanzia di Maria è trascorsa tra il desiderio di cambiare famiglia e la necessità di preservare la sacralità del focolare familiare, di assolvere e difendere quell’amore non solo da se stessa, ma anche dagli altri.
“Maestoso” è un termine musicale utilizzato per definire l’esecuzione di un certo passaggio di musica in modo signorile e dignitoso, un’esecuzione lenta e solenne. È con dignità e signorilità, meritevoli di ammirazione e rispetto, che la protagonista affronta la paura dell’abbandono: con un linguaggio aulico e poetico, la Gamberini accompagna Maria in un vero e proprio processo di esorcizzazione del dolore, dei rimpianti, dei fallimenti. La giovane donna si aggrappa con forza a quella fiammella di fuoco che conserva nel cuore, a quella luce che nasconde nell’anima, riuscendo finalmente ad accettare l’idea che tutto è incomprensibile, che le risposte arrivano con il tempo, in modo inaspettato.
Il romanzo di Gamberini è un libro da leggere lentamente, ritornando indietro sulle righe lette la sera prima, dopo aver meditato, riflettuto. Un libro che può essere doloroso come una corona di spine, che può suscitare sensazioni inspiegabili e toccarvi dentro perché le parole che contiene abbracciano, coccolano e, talvolta, affondano una sberla in pieno viso. È un viaggio per imparare il distacco nell’amore, senza fare a meno dell’amore. In bilico tra prosa e poesia, delicato come un sussurro, ma potente come un’esplosione, tra identificazione e sorpresa continua. Ma potrebbe anche non lasciarvi nulla: tutto dipende dalla predisposizione d’animo che si ha nel momento in cui si sfoglia la prima pagina.
Recensione di Arcangela Saverino
