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SAUSSURE, FERDINAND DE, Manoscritti di Harvard, Laterza, 1994
PRAMPOLINI, MASSIMO, Ferdinand de Saussure, Giunti - Lisciani, 1994
scheda di Caprettini, G.P., L'Indice 1995, n. 3
Èmile Benveniste rammentava in un'intervista del '68 che Saussure - il grande linguista ginevrino (1857 - 1913) - era ossessionato da un problema, quello del "valore" della lingua, che consisteva nell'individuare che cosa distinguesse la lingua da un qualunque altro oggetto di scienza. Raffaele Simone, in una sua lezione del '73, sottolineava come la lingua fosse per Saussure anzitutto un sistema di segni e come pertanto egli ritenesse necessario ricorrere a una scienza generale dei segni - la semiologia - per delimitare l'oggetto della linguistica e i suoi caratteri specifici. Queste osservazioni possono essere utili per abbordare il pensiero di Saussure e le oscillazioni che alimentavano il suo spirito di autocritica, e anche di contraddittorietà, attorno a non poche questioni, fra le quali quelle che in lui è centrale: il segno forma un'unità inscindibile di significato e significante ovvero costituisce un raggruppamento di elementi provvisori?
L'edizione dei manoscritti di Saussure, ceduti dagli eredi alla Houghton Library (Università di Harvard), è certamente utile agli studiosi, anche se si ha l'impressione di assistere, tranne nelle pagine finali, a una parata di frammenti di mosaici di varie provenienza che possono rappresentare fonte di curiosità per lo specialista ma solo difficilmente risultare utili a un vasto pubblico. Certo, il compito del curatore, proprio per la natura dei manoscritti, era arduo, ma che senso ha riportare nel corpo del testo l'indirizzo di Raymond de Saussure (p. 53) e poi non completare, facendolo invece seguire da "(sic)", il nome della "signora Bl." (p. 103), che altri non sarà che la celebre teosofa russa E. P. Blavatskij (1831-91)? Dal volume emerge comunque un Saussure interessato ai più vari campi glottologici e in particolare al sanscrito e alla cultura religiosa indù, suggestiva quest'ultima nel suo trascurare "gli oggetti delle percezione sensibile" che "non sono affatto presi come realtà certa", attraente nelle sue forme di preterizione e laconicità, stimolante nella proposta di un'idea di sostanza come ciò che "nello stesso tempo... sviluppa effetti e... resta inalterabile attraverso le forme''.
Quanto al lavoro di Prampolini, esso è complessivamente una buona introduzione a Saussure, che nel mercato italiano si affianca alla traduzione di quella di Georges Mounin (Accademia - Sansoni, Milano 1971), forse ingiustamente dimenticata. Raccomandabile per chiarezza e gradualità espositiva, la guida di Prampolini è davvero eccellente quando espone i concetti cruciali e le celebri antinomie (langue/parole, sincronia/diacronia. .) della linguistica saussuriana, e anche quando colloca Saussure nell'alveo della linguistica del Novecento da lui stesso inaugurato, con il seguito di incomprensioni, travisamenti e più o meno fedeli continuità, da Meillet a Benveniste, da Jakobson a Hjelmslev.
È sorprendente però che della semiologia non si faccia cenno se non indirettamente e che nessuna parola venga spesa per trattare gli altri aspetti del contributo saussuriano, dagli "anagrammi" alle note sulle leggende germaniche, queste ultime edite in anni recenti da due valenti studiosi italiani, Anna Marinetti e Marcello Meli, curatori di un'edizione giudicata con favore ("Le leggende germaniche", Libreria editrice Zielo, Este 1986), di cui vorremmo citare in conclusione un passo, indicativo per lo sguardo innovativo di Saussure: "I simboli, come ogni specie di segno, non sono altro che il risultato di una evoluzione che ha creato un rapporto involontario fra le cose".
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