Schiacciato dalla troppa pressione, nel 2010 Dan Stuart è volato in Messico come molti altri prima di lui (Bierce, Lawrence, Lowry, Burroughs, Kerouac, Bolaño). Si è fermato ad Oaxaca e ha scritto un album e delle false memorie con lo stesso titolo: The Deliverance of Marlowe Billings. Entrambe sono stati concepiti come esplorazioni degli eventi che lo hanno portato al suo sfacelo, dai suoi primissimi esordi sfavillanti nei Green on Red ai suoi ultimi anni da mantenuto e occasionale sceneggiatore errabondo per le strade di New York e Barcellona alla ricerca di oppio, ormai in disuso, e puttane, che esisteranno sempre. Il mondo gli da nuova attenzione e Stuart torna in campo, ma in qualche modo tutte le regole sono cambiate. Evitando il ghetto dell’Americana, Stuart voleva dannazione, canzoni con ancora addosso un sapore di pericolo e intrigo, quella cosa chiamata rock ‘n’ roll. Registrato in solitaria in un bunker in Oaxaca, con il solo aiuto di un ingegnere del suono che al costo di 30 pesos shakerava un piccolo ovetto nero, è nato “Marlowe’s Revenge”. Successivamente, in un turbinio di erba e mescal alla perenne ricerca di co‐cospiratori, si è imbattuto in un video dei Twin Tones e ha mandato loro un aquilone. Pur avendo la metà degli anni di Stuart avevano qualche amicizia in comune e conoscevano abbastanza dei suoi lavori precedenti. Stuart è stata invitato nel loro particolare studio casalingo a nord di Città del Messico e la prima sera hanno messo su Soy un Hombre, seguito presto da un’altra mezza dozzina di brani. Il risultato della collaborazione è una olla podrida (let. disgustoso spezzatino) di tracce live, collage e incisioni, dove la maggior parte delle regole per una corretta registrazione vengono infrante (scosse) e che solo l’intervento di Dj Foster poteva rendere al missaggio finale.
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