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«La volete sapere una cosa? Ogni volta che sganci un reggiseno e senti quel paio di tette sconosciute che ti cascano tiepide addosso, ti senti immortale. È come scrivere un libro. È come dare un bacio in fronte al padreterno, cazzo,»
Kennedy Marr è un donnaiolo, un egocentrico, un narciso. È uno scrittore inglese di successo, uno di quei bastardi cui il destino ha servito le carte migliori. Vive a Hollywood e ha scoperto quanto sia un posto meraviglioso per coltivare i suoi tanti eccessi. Nulla al mondo lo convincerebbe a lasciare la California. Kennedy non ha però considerato l’Agenzia delle Entrate e il fatto che non scrive una riga da cinque anni. Sarà costretto ad accettare un sostanzioso premio letterario, anche se ciò vorrà dire passare un anno in un college britannico a insegnare scrittura creativa a dei ragazzini senza talento. Soprattutto però tornare a casa significherà doversi confrontare con i fantasmi di un passato che non avrebbe mai voluto ricordare. Sarebbe troppo per chiunque, figuriamoci per Kennedy Marr... Dopo lo strepitoso Gesú Cristo di A volte ritorno, John Niven inventa un altro personaggio scorretto, irresistibile e sopra le righe, un uomo capace di fare a pezzi la reputazione del maschio contemporaneo.
Un libro di una sincerità e di uno humor disarmante. E' molto facile immedesimarsi nella mente del protagonista, pur essendo una persona non del tutto positiva. Imparare dai propri sbagli non è facile ma Niven ci da una guida adeguata. molte vibes alla "Bojack horseman"
Capolavoro. Niven nella prima parte del romanzo ti prepara la tavola poi ti serve dei piatti che ti stupiscono e che ti lasciano stupito e soddisfatto, appagato e felice. Romanzo più profondo e viscerale di quello che potrebbe sembrare al principio (forse scritto in due periodi diversi?), scritto da Dio. Dovrebbe costare due volte il suo prezzo per quanto vale. Grande Niven grazie.
Se "lo scopo dell'arte è divertire", Niven ci riesce benissimo anche con questo suo quinto romanzo, oltre a farci ragionare su temi quali l'ipocrisia, la malinconia e, soprattutto, la solitudine, in un cocktail di umorismo e riflessione che non annoia mai.
Recensioni
Il romanzo di Niven non è un romanzo come un altro. Eppure, avrebbe tutte le caratteristiche per esserlo: un protagonista dannato ed egocentrico, una storia in apparenza semplice, a tratti superficiale, con possibilità di redenzione finale.
Kennedy Marr è un inglese trapiantato in California, è un uomo pieno di sé, di bell’aspetto, per il quale le uniche cose che contano sono il lusso e le donne, sullo sfondo di una Los Angeles cinematografica. Ma, allo stesso tempo, è molto più di questo: è stato uno scrittore squattrinato, è stato un marito, un fratello, un figlio ed un padre. Ma Niven questo lo svela con calma, inserendo pagina dopo pagina i tasselli che hanno composto la sua vita e che non giustificano affatto l’uomo che è diventato. Kennedy aveva tutti i presupposti per essere una brava persona, invece ha scelto di diventare un egocentrico narcisista, un edonista incurante dei sentimenti. Il romanzo si snoda attraverso i pensieri del suo protagonista tra un pranzo in centro e la presentazione di un libro, tra gli incontri con i più famosi attori di Hollywood e le sue incertezze e perversioni, tutte raccontate dallo stile unico di Niven, una scrittura appassionante, scorrevole, che coinvolge il lettore al punto di farlo affezionare anche a un protagonista così sbruffone e snob.
Quello che dovrebbe essere un dramma esistenziale, diviene nelle mani di Niven una commedia sarcastica, pungente, a tratti volgare, che parla del successo e dei suoi postumi. Kennedy Marr non è il risultato dei suoi traumi personali, al contrario li rifugge cercando di sfuggire alla morte stessa e se, infine, riuscirà a migliorarsi sta solo al lettore scoprirlo.
Recensione di Lucrezia Lazzari
A cura del Master Professioni e prodotti dell’editoria - Collegio Universitario "Santa Caterina da Siena” in collaborazione con l’Università di Pavia
Non lasciamoci imbrogliare. Non vorremo mica credere che Maschio Bianco Etero (362 pagine, 13 euro) di John Niven (tradotto da Marco Rossari per Einaudi) sia solo la storia complicata e spavalda di Kennedy Marr, plurimilionario scrittore di mezz’età? Sciocchezze, questo libro è un inquisitore, un indagatore. Un sacerdote che dal pulpito ci pone una domanda seria: quante protuberanze può avere la vita? Già, perchè al centro di tutto, nell’occhio del ciclone di queste pagine piroettanti c’è una malinconica, coraggiosa, fastidiosa, pruriginosa riflessione sul senso stesso dell’esserci.
Come sempre Niven aderisce perfettamente alla pragmatica ruvidezza dei nostri tempi. Per rispondere non si abbandona a facili semplificazioni. Sa bene che la morte livella tutto e restituisce un senso a ogni cazzo di giornata che abbiamo trascorso. Però non cerca scorciatoie. Il suo protagonista è un indiavolato. Uno che guarda alla fine di tutto con una certa rabbia, provando ad autoconvincersi che «vivere alla grande sia la migliore vendetta». Sì, perché con il pedale dell’acceleratore sempre pigiato, con i soldi scialacquati come se non ci fosse un domani e con il pisellino in ammollo in qualche superfiga californiana, nonostante tutto, non ci si butta via, si realizza quasi una predestinazione. Del resto, il carattere è il destino, si legge tra le righe. Kennedy Marr né è certo, gli uomini talentuosi possono e devono vivere al di sopra delle regole, non subordinate ad esse. Mica come suo fratello Patrick, brav’uomo, per carità, però insomma: con la stessa moglie da oltre vent’anni e con un lavoro che a stento gli permette una casetta appena fuori Dublino. No, lui vuole di più, perché tanto il sipario calerà per tutti. Anche per chi ha aiutato ad attraversare la strada alle vecchiette o per chi ha vissuto con morigeratezza e carità. Tanto vale sciallarsela. Eppure, le caleidoscopiche avventure del protagonista – scazzottate, scopate, pigri insegnamenti all’università – e le infinite declinazioni dell’alcool al quale si concede – vodka, gin, birra, vino, whiskey, brandy, rum – lo indurranno a ripensare la sua scala valoriale. E la sua stessa vita. Le scelte fatte e quelle che avrebbe potuto fare. Gli amori annegati nel sesso e quelli invece lasciati andare stupidamente. I figli mai avuti e l’unica figlia, Robin, che invece lo avrebbe voluto più vicino. Anche solo stravaccato sul divano a rimpinzarsi di patatine. Ma più vicino.
Vivere, e non strafare cercando di ingannare il tempo, è allora l’approdo? Non lo sapremo mai. Il pregio di Niven è quello di non chiudere la porta perché in questo dannato mondo c’è sempre spazio per una buona dose di imprevedibilità. Nessuno ha la verità in tasca. Tutt’al più qualche bigliettone da cento. Con cui puoi cenare nei migliori ristoranti o dormire nei migliori hotel, vestire gli abiti più lussuosi o viaggiare a rotta di collo. Una figata indubbiamente. Ma vivere, vivere è un’altra cosa. Forse l’amore è un passaggio obbligato, una tappa imprescindibile. John Niven prova a instillarci il dubbio. Kennedy Marr sembra confermarcelo mentre gli spruzzi del mare d’Irlanda gli lambiscono appena il bavero del cappotto.
Recensione di Alessandro Orofino
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