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LACENAIRE, PIERRE FRANçOIS, Memorie. Autobiografia di un borghese, poeta, assassino
LACENAIRE, PIERRE FRANçOIS, Memorie di un assassino
recensione di Magrelli, V., L'Indice 1994, n.11
Che cosa ci faceva, nell'appartamento di un letterato come Maxime du Camp, la mano di un defunto, tagliata e imbalsamata a mo' di 'souvenir'? Siamo a Parigi, nella prima metà dell'Ottocento, e dietro il macabro reperto si cela una vicenda tra le più controverse della storia giudiziaria francese. Le domande su un mistero del genere non si fermano qui. Perché Flaubert, appena diciottenne, esaltò il criminale cui quella mano apparteneva, annotando: "Mi piace vedere questo tipo d'uomini, come Nerone, come il marchese de Sade... Secondo me questi mostri spiegano la storia, ne sono il complemento, il culmine, il senso, il dessert"? Come mai Gautier gli dedicò una preziosa lirica, chiamandolo "un vero assassino e un falso poeta"? Che gesta aveva compiuto il disgraziato giovane per essere citato da tanti altri scrittori?
Al pari di un arto fantasma, la figura di questo omicida ha provocato lunghe fitte e lancinanti dolori nell'immaginario collettivo del suo paese, ossia in quel bacino dove si raccolgono letteratura, cronaca, racconti orali, iconografia giornalistica e musica popolare. Perciò non è azzardato dire che, quando il 9 gennaio 1836 venne ghigliottinato, la sua avventura, più che terminare, iniziava. Questo, d'altronde, era il senso dell'invettiva scagliata contro tutti i suoi nemici: "Calunniate, ne resterà sempre qualcosa, resterà sempre qualcosa di me".
Ben conosciuta in patria, l'opera di Pierre Franèois Lacenaire è stata di recente al centro di un notevole successo librario d'oltralpe, con due edizioni in soli tre anni. A compensare il ritardo della versione italiana sta però un caso davvero eccezionale: l'uscita contemporanea di due diversi volumi intitolati rispettivamente "Memorie. Autobiografia di un borghese, poeta e assassino" e "Memorie di un assassino". Sebbene differenti per mole e taglio critico, le due edizioni finiscono per integrarsi. Mentre nella prima, meno ponderosa ma basata su documenti originali (atti del processo, materiali giornalistici, referti medici), il saggio introduttivo segue un'analisi di tipo sociologico, nella seconda, dotata di ampi apparati, viene invece privilegiata la prospettiva letteraria. Insieme alle dettagliate note al testo, alle cinque appendici e al ricco materiale illustrativo, il volume degli Editori Riuniti presenta inoltre una dozzina di poesie, con testo a fronte, esemplarmente tradotte. Non è questa la sede per dar conto delle traduzioni in prosa, il cui confronto ragionato esigerebbe tutt'altro spazio. A una prima lettura, comunque, appaiono ambedue di ottimo conio.
Più agevole cercare di ricostruire le interpretazioni offerte dai due curatori. Entrambi si soffermano sull'abilità con cui Lacenaire, sfruttando i mass media dell'epoca, seppe trasformare le proprie squallide colpe in fulgida leggenda. Per Tiziana Goruppi, un ruolo determinante in tale costruzione mitica venne svolto dal pubblico femminile, incantato da quella che le cronache definivano come la personalità più saliente mai prodotta dalla criminalità moderna. Resta però fondamentale il nesso tra delitto e scrittura. Ha osservato Beretta Anguissola al riguardo: "C'è quasi un'aria novecentesca, tra Céline e Genet". Mirava alla fama, dissero di lui. Forse per questo, coincidenza per coincidenza, la sua nera parabola rivela molte somiglianze con quella narrata in un film dei nostri giorni. Nessuno, infatti, come questa 'vedette' del delitto è giunto a impersonare tanto bene il paradosso affidato da Oliver Stone al suo "Natural born Killer": riuscire a trasformare la comunicazione del male in male della comunicazione. Ma come avvenne un simile scambio? Quale rapporto si instaurò tra l'ideologia dominante e quella professata da questo "eroe da romanzo"? Nell'esaminare il suo comportamento reazionale (cioè diretto verso la società sulla base di quelle stesse regole che la società per prima aveva adottato contro di lui), la Goruppi ha opportunamente ricostruito il clima sociale e politico di quel periodo.
In Francia, gli anni trenta del secolo scorso furono caratterizzati per un verso da un preoccupante aumento degli omicidi, per l'altro dallo sviluppo di nuove forme di criminalità urbana. Nel 1835, poi, la situazione si fece drammatica. Nel mese di luglio, il fallito attentato di Fieschi contro il re Luigi Filippo si risolve in una carneficina. Una dozzina fra ufficiali e soldati periscono per l'esplosione del suo "ordigno infernale". Proprio negli stessi giorni viene arrestato in provincia Pierre Rivière. Accusato dell'uccisione di suo padre, l'imputato salirà sul patibolo l'1l novembre, ossia proprio all'inizio del processo Lacenaire. Rispetto a casi giudiziari del genere l'autore delle "Memorie" aveva in teoria scarse possibilità di attirare un'attenzione diversa da quella generalmente rivolta a un semplice fatto di cronaca. Opposta a un regicida e a un parricida, la sua figura non poteva che apparire patetica, sbiadita. In effetti, egli aveva colpito stranamente in basso scegliendo tra le vittime (nota Beretta Anguissola) microborghesi o sottoproletari come una vecchietta, un emarginato omosessuale costretto a vivere di espedienti, e qualche impiegatuccio di banca. Eppure, contro ogni previsione, Lacenaire riuscì perfettamente nell'intento di ribaltare la situazione a suo favore. Per la Goruppi, il segreto dell'oculatissima strategia con cui si impose all'opinione pubblica ("una strategia fondata sullo sfruttamento di uno stereotipo, il grande criminale romantico, come canale privilegiato della comumnicazione) va ricercato nella decisione di assimilare la propria immagine a quella dei due diretti concorrenti. Questo mediocre assassino da strada seppe infatti dilatare la portata delle sue imprese per presentarsi nei panni di un implacabile avversario delle istituzioni, ostile sia all'ordine monarchico, sia a quello familiare. "Uomo di sistema" in grado di spiegare i suoi misfatti in rapporto a un coerente ,apparato concettuale, il "fidanzato della ghigliottina" giunse al successo, più ancora che per l'atteggiamento spavaldo e teatrale, per la carica simbolica di cui seppe rivestire azioni di per sé tutt'altro che straordinarie. Non solo. Di fronte a una giustizia che ha il diritto di punire, Lacenaire si appella al diritto di rompere il patto sociale, e dichiara di essersi trovato in condizione di legittima difesa nei riguardi dello stato. Ancora la Goruppi: "Il criminale non si impone tanto nelle vesti di nemico della società, quanto piuttosto come la prova dei suoi mali ... Così, a distanza di poche settimane, Rivière e Lacenaire illustrano il pericolo di una situazione che si andava profilando con sempre maggior frequenza: il crimine poteva anche connotarsi come una via alternativa della contestazione". Non il partito preso della morte, dunque, ma quello del mito. Mentre il dibattimento si trasforma in una vera e propria campagna pubblicitaria, mentre la stampa impazzisce dietro "l'angelo caduto", non passa giorno che personalità di spicco non si rechino a visitare il carcerato. Ebbene, rievocando quella morbosa processione di avvocati, intellettuali e artisti, Beretta Anguissola la integra idealmente con i nomi degli scrittori che da Lacenaire trassero ispirazione.
A differenza che Flaubert e Gautier più sopra ricordati, Marcel Proust, Charles Baudelaire e Lautréamont non lo citarono mai in maniera esplicita. Nel loro caso, quindi, il discorso rimane necessariamente indiziario. Ma non sarà così per lo Stendhal del "Journal" per il Victor Hugo dei "Misérables", o per il Tristan Corbière degli "Amours jaunes", tre autori che menzionarono Lacenaire con una non celata ammirazione. A coronare questa illustre famiglia, giungeranno poi l'"Anthologie de l'humour noir" di André Breton, e il film di Marcel Carn‚ "Les enfants du Paradis", su sceneggiatura di Jacques Prévert. Chiudono il corteo un film realizzato nel 1990 dal regista francese Francois Girod, con Daniel Auteuil nel ruolo del protagonista, e un disco del gruppo rock texano Fred de Fred.
Le pagine più intense in questo senso restano però quelle dedicate a Honoré de Balzac. L'impregnazione lacenairiana, vi si legge, è al centro di due dei suoi romanzi più belli, più famosi e più letti, ovvero "Splendeurs et misères des courtisanes" e "Les illusions perdues". E sarebbe davvero difficile immaginare un omaggio più grande.
Alla fine di questa doppia lettura, resta un unico dubbio: dobbiamo considerare queste "Memorie" come un insieme di testi "incredibilmente ben scritti" (Beretta Anguissola), o come "un'opera che obiettivamente non ha grande valore letterario" (Goruppi)? Siamo di fronte a "una prosa molto nuova per il 1835: asciutta, dura senza essere rigida, secca senza essere artificiosa?", o a un libro "i cui difetti... sono talmente palesi da renderne superfluo l'elenco"? Questione complicata. Ma a ben vedere, un motivo in più per affrontare questo strano oggetto letterario, ibrido nato dalla cupa unione tra la penna e il coltello.
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