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Perché parliamo l'italiano e che italiano parliamo? In altre parole: come mai il latino ha generato in Italia l'italiano, in Francia il francese, in Spagna lo spagnolo, in Romania il romeno, lingue distinte fra loro? Cosa le ha fatte diventare diverse? Perché villa (podere rustico) è diventata in francese «ville» (città), e in italiano «villa» (abitazione signorile)? Come si spiega che delle centotrentamila parole che compongono il nostro ricchissimo vocabolario se ne adoperino, mediamente, cinquecento, ottocento al massimo? Perché il verbo fare ha messo in cantina una cinquantina di altri verbi e ci si «fa» la Porsche, ci si «fa» il "capino" di Armani, ci si «fa» una Cocacola? A queste domande, e a molte altre, dà risposta Perché parliamo italiano, una galoppata attraverso la nostra lingua da Sao ke kelle terre, considerato l'atto di nascita del volgare, al che c'azzecca di Antonio Di Pietro. Una galoppata lunga, poco più, poco meno, mille anni per finire con l'avvento della televisione, formidabile strumento di unificazione ma anche di corruzione linguistica. Non avendo i titoli né la competenza per salirvi, l'autore non s'è messo in cattedra e l'argomento è stato affrontato come un'inchiesta giornalistica, una cronaca, con linguaggio volutamente discorsivo. Perché parliamo italiano si prefigge inoltre di risvegliare, in coloro che l'hanno perduto, il gusto del parlare (e dello scrivere) corretto, appropriato. A tal proposito sono compresi nel libro due repertori, due dizionarietti. Il primo concerne gli errori e i dubbi linguistici più comuni. Il secondo è dedicato alla storia delle parole, alle etimologie più stravaganti, più sorprendenti.
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