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Il libro riunisce alcuni racconti di Franz Kafka, pubblicati come opere singole, come il più celebre, “La metamorfosi”, poi “La condanna” e “Nella colonia penale”, o come raccolte: da “Il medico di campagna”, “Durante la costruzione della muraglia cinese” e “Un digiunatore”. Molte storie sono autobiografiche, come “La condanna” 1/5, in cui si parla del rapporto conflittuale tra un figlio e l’anziano genitore. Pressoché incomprensibile: sembrano entrambi psicopatici. “La metamorfosi” 4/5 è un racconto di horror surreale: una mattina Gregorio Samsa si sveglia trasformato in un gigantesco, disgustoso insetto. Uno scarafaggio. I familiari ne sono inorriditi. Muoversi gli è difficile, i cibi prima preferiti lo disgustano, e si nasconde sotto il divano. Il dramma di Gregorio non è tanto la mostruosa trasformazione, quanto il rifiuto dei parenti. La storia è allegorica: Kafka detestava il proprio aspetto. “Un medico di campagna” 1/5 è una raccolta di racconti brevissimi scritti fra il 1914 e il 1917. Il libro edito da Mondadori ne presenta quindici: sono storie allegoriche, horror, inquietanti, pessimistiche, alienate, talvolta autobiografiche, spesso incomprensibili. Trattano temi sociali e politici in modo sgradevole ed ermetico: solo la brevità aiuta a leggerli. “Nella colonia penale” 3/5 è una storia sadica di horror surreale. Il comandante di una prigione militare ha inventato una raffinata macchina di tortura. Il racconto intriga perché sollecita il cavernicolo nascosto in ciascuno, che ama il sangue e la morte: non ci sono buoni, siamo tutti crudeli. In “La tana” 2/5, una creatura vive in un rifugio sotterraneo, timorosa dei nemici, ossessionata x la propria sicurezza, desiderosa di uscire e allo stesso tempo di restare. Una storia paranoica, ansiogena, ripetitiva, noiosa. “Un digiunatore” 3/5 è un racconto autobiografico: Kafka lo scrisse nel sanatorio di Kierling, dove morì x denutrizione a causa della tubercolosi alla faringe che gli impediva di nutrirsi.
Se il lettore di Kafka fosse anche un melomane potrebbe essere tentato di fare un parallelismo con l'opera di Gluck. Se in quest'ultimo lo scontro è tra Greci e Sciti, civiltà e barbarie, sacralità degli affetti e ottusa durezza della superstizione, nello scrittore praghese il dualismo si manifesta nella guerra perenne tra normalità e asocialità, finto pietismo collettivo e ribellione individuale, moralismo esteriore e senso di inadeguatezza ai codici sociali.C'è in Kafka un gusto dell'orrido che sembra sconfinare talvolta, nella repressa esaltazione della perversione. L'eroe negativo ed eternamente sconfitto nei suoi sogni e nelle sue passioni ha il volto deturpato di Gregorio Samsa trasformatosi "in un enorme insetto immondo"; del medico di campagna che non riesce o non vuole salvare Rosa dalla violenza dello stalliere per quieto vivere e convenienza; del calzolaio che guarda atterrito dal suo laboratorio le bestialità dei nomadi; dell'ufficiale che si suicida con la stessa macchina di tortura destinata al condannato disertore, non trovando in essa però la "promessa trasfigurazione" nel passaggio dalla vita alla morte; dell'essere chiuso nella sua tana che invano sogna "una costruzione perfetta" che lo possa preservare dagli attacchi estremi e dalle paure interne. Il frequente ricorso a metafore non cancella l'impressione di una scrittura che vuole andare dritta al fondo delle cose: l'anormalità si traveste da repulsione istintiva quando deve fare i conti con un'inadeguatezza di fondo nel ricoprire i ruoli che la benemerita società le ha assegnato. L'erpice che smembra il corpo dell'ufficiale come se si trattasse di semplici zolle di terra, pur non riuscendo nel suo intento e lasciando che le membra restino attaccate ai suoi "lunghi aghi", è l'immagine di una società che distrugge l'individuo senza permettergli nemmeno quella mutazione da lei stessa imposta.
Spesso la letteratura (sempre dirà qualcuno…) è lo specchio della vita, attraverso la personale sensibilità dell’autore che riesce a trasmettere la propria visione del mondo, dei sentimenti, delle angosce e delle debolezze che regolano la natura umana. Kafka si pone quasi al di fuori di questo schema, tanto la sua scrittura è forte, definitiva, senza possibilità di appello. Una lucidità spietata ma niente affatto fredda o distaccata. Una lettura che coinvolge, scuote, quasi spaventa per la difficoltà ad obiettare o ribattere alla visione dell’autore con convinzioni proprie e di diverso indirizzo. Una voce potente più “alta” rispetto alla massa. Mi evoca l’immagine di montagne imponenti ed irraggiungibili che si ergono al di sopra di costruzioni umane di qualsivoglia genere. Letteralmente fulminanti per la loro disarmante profondità alcuni racconti brevissimi tratti da CONTEMPLAZIONE, UN MEDICO DI CAMPAGNA, IL DIGIUNATORE. Sconvolgente NELLA COLONIA PENALE (che mi ha ricordato da vicino la drammaticità e la forza della scrittura di un autore a me molto caro, Raul Montanari). Una lettura davvero imperdibile.
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