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Mille anni a Pechino. Storia e storie di una capitale - Renata Pisu - copertina
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Mille anni a Pechino. Storia e storie di una capitale - Renata Pisu - copertina
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Descrizione


Città un tempo unica al mondo, Pechino è passata in meno di cento anni dal feudalesimo alla modernità o, addirittura, alla postmodernità, transitando per il comunismo: "raccontare" questa realtà è dunque una questione complicata, che Renata Pisu ha risolto intrecciando storia passata e presente, ricordi personali e una vasta conoscenza della cultura cinese in un resoconto coinvolgente e vivido. Il suo approccio, lontano dalla pedanteria accademica come pure dalle monotone elencazioni da guida turistica, riesce a fondere armoniosamente una riflessione profonda e critica sulle caratteristiche della megalopoli attuale con un interessante percorso a ritroso nei secoli, insieme a vivaci ritratti di personaggi, famosi e non, capaci di incarnare più di altri lo spirito del luogo. La Città Proibita e i nuovissimi grattacieli, i "santini" di Mao, diventato una sorta di venerabile antenato, e l'ex fabbrica-modello trasformata in una Factory delle avanguardie artistiche, il vistoso inurbamento di masse di lavoratori venuti dalle campagne e i pechinesi che sloggiano nelle periferie, le tombe degli imperatori Ming e i pacchiani appartamenti dei nuovi ricchi: l'autrice sa restituire con efficaci, colorite pennellate tutta la complessità e insieme il fascino di una capitale che purtroppo, sottolinea con grande malinconia, tra qualche anno sarà totalmente irriconoscìbile.
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Dettagli

2008
13 maggio 2008
253 p., Rilegato
9788820045203

Valutazioni e recensioni

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Alex
Recensioni: 3/5

Libro piacevole e interessante, scritto da chi ha vissuto Pechino in diversi momenti della vita. Il libro è spesso ma il carattere è grande; purtroppo la Pisu non approfondisce questioni storiche e finisce per parlarne sinteticamente, tuttavia i confronti e le riflessioni sono davvero acuti.

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Cristiana
Recensioni: 5/5

Meglio di una guida. Scritto 10 anni fa questo saggio non ha perso smalto ne attualità: non so se rallegrarmi del fatto che al peggio ci sia una fine e che Pechino l'abbia apparentemente raggiunto, o quasi, dato che la situazione di degrado della Pechino odierna (...che ho recentemente visitato) è descritta in modo perfettamente riconoscibile nelle parole della Pisu di questo libro. Addolcisce tutto la nota nostalgica per la città che fu. Un bel saggio, interessante e ben scritto, per nulla pesante; esaustivo sia dal punto di vista storico che artistico. Da leggere prima di andare a Pechino, quindi, proprio per sapere cosa vedere e anche cosa aspettarsi ma anche cosa immaginare in filigrana attraverso le ricostruzioni fittizie.

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La recensione di IBS

Renata Pisu, nota sinologa italiana, ci conduce con questo libro tra le vie di Pechino, una città che ai primi del '900 era definita "l'ultimo rifugio dello sconosciuto e del meraviglioso" (dallo scrittore francese Pierre Loti) e che oggi si presenta al mondo intero completamente ricostruita per le Olimpiadi di Beijing 2008. Pechino fu concepita secondo un tracciato di quadrati giustapposti, quintessenza dell'idea cinese di città, e ancora fino al 1993 l'urbanistica della capitale vietava la costruzione di edifici superiori ai dieci piani, in modo che si potessero apprezzare i tetti dei monumenti antichi: la Città Proibita, il Tempio del Cielo, la Torre del Tamburo. Oggi, invece, niente della nuova fisionomia urbana rimanda a quel progetto; gli edifici storici, che un tempo dominavano la città, sembrano dei bonsai al cospetto dei grattacieli. Pechino, diventata metropoli, ha subito una brutale modernizzazione per presentarsi al mondo intero oltre che come capitale politica, anche come centro tecnologico e culturale del nuovo "impero economico" cinese; e lo vuole dimostare anche alle metropoli cinesi del sud commerciale, Shanghai e Canton, che le hanno sempre conteso il primato geopolitico interno.
L'autrice riapre la cartina della città che aveva con sé nel 1957, quando studiava all'Università di Pechino, ma quella città di cinquant'anni fa non esiste più. è stata distrutta e trasformata, è irriconoscibile. I più anziani tra i pechinesi non hanno punti di riferimento, luoghi di incontro: si danno appuntamento sotto le arcate delle circonvallazioni aereee, tra un massiccio pilone e l'altro, e lì ballano. Volteggiano al suono del "liscio" tra il fragore e le esalazioni mefitiche del traffico, d'estate danzano in coppia nei parchi, un divertimento proibito all'epoca di Mao perché considerato "borghese", se non addirittura "controrivoluzionario". Ma mentre nei primi Anni '80 con le Quattro modernizzazioni e la porta aperta all'Occidente erano tornati i passatempi antichi, dagli aquiloni in cielo agli uccellini a spasso nelle gabbie, ora anche il tessuto connettivo e l'habitat tradizionale sono stati distrutti. Gli antichi piaceri, appena riassaporati, stanno svanendo a colpi di karaoke, videogiochi, shopping center, inquinamento e serial tv.
Con una certa nostalgia Renata Pisu ripercorre la storia di Pechino avanti e indietro nel tempo, da quando la città si chiamava Dadu ed era capitale dell'impero mongolo, allo splendore dell'era Ming (dal 1400) descritto con entusiasmo dai nostri gesuiti che lì arrivarono, fino alla perfezione raggiunta con la dinastia Qing (1644-1912). Poi la Cina socialista di Mao e della Rivoluzione culturale si regalò la più grande piazza del mondo: la Tian An Men, che dal 1919 al 1989 è divenuta il luogo pubblico della protesta, con un susseguirsi di manifestazioni e con le autorità sempre pronte ad aprire il fuoco. Dai suoi spalti, nel 1949, Mao Zedong dichiarò la nascita della Repubblica Popolare Cinese e Pechino nel 1958, in un solo anno, vide sorgere per decreto del partito comunista dieci mastodonti in stile sovietico come segni del nuovo potere. Oggi c'è una nuova Pechino, ma anche questa – spiega la sinologa – è la capitale che il potere ha voluto ricostruire dall'alto della gerarchia politica, per dimostare che il regime ha elevato il paese al rango di superpotenza. E l'appuntamento con le Olimpiadi del 2008 ha accelerato la tabula rasa e la riedificazione del nuovo. L'autrice prova a consolarsi osservando che "la Cina, in effetti, non ha voluto che la sua storia dimorasse negli edifici, ha privilegiato le incarnazioni letterarie": è una civiltà della parola scritta, di cui la scrittura ideografica è la sola garante. Come a dire: un passato di parole, non di pietre.

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