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Titolo: "Mio Due, Mio Doppio " Storia Di W.H Auden E Chester KallmanAutore: Clark TheklaEditore: AdelphiData: 1999Brossura Editoriale. Qualche Piccolo Segno D'uso Alla Copertina. Pagine In Buone Condizioni Per Una Scorrevole Lettura
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Ricordi migrati da un passato che sembra ormai perdersi nella "notte dei tempi" piuttosto che da un'età non troppo distante dai giorni nostri. Un intenso rapporto di viva amicizia che travalica anni e luoghi nella descrizione, esposta in primo piano, del noto rapporto omosessuale vissuto dai due poeti Auden e Kallman. Memoria storica e vicende personali che quindi s'intrecciano senza mai interrompersi secondo il punto di vista d'una persona, l'autrice, proveniente dagli Stati Uniti e legata alla allora (neanche troppo) ristretta tribù di "liberi pensatori", per la maggior parte stranieri, ricchi di privilegi e comoda disinvoltura soprattutto ottenuti per merito delle consistenti tasche di genitori più o meno facoltosi. A tratti si ha l'impressione che il libro possa essere stato scritto, o forse tradotto, alquanto di corsa. Troppo spesso infatti il soggetto è confuso con l'oggetto ed i verbi s'ingarbugliano da soli. Il trambusto è poi aggravato dai tempi della narrazione che non pretendono di rispettare un andamento cronologicamente più diretto e naturale. La storia ha comunque fascino da vendere ed è meritevole d'una dovuta attenzione; se non altro per le tante osservazioni, sempre argute e quanto mai rivelatrici, espresse dalla personalità d'un poeta (un grande poeta) come W. H. Auden, autore di componimenti tanto brillanti quanto profondi; vedi la bella raccolta intitolata "Un altro tempo", del 1940, e dedicata proprio allo stesso Kallman. Nonostante tutto, il testo è da consigliare a coloro che desiderano approfondire sia certa estetica di quegli anni sia la figura, così emblematica e fondamentale, del mai dimenticato poeta inglese. C.M
Recensioni
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Giovane madre, e ancor più giovane vedova, "una Daisy troppo sicura di sé, con la sua esuberanza e volgarità da Nuovo Mondo" (l'amabile autoironia è davvero solo retrospettiva?), la bionda Thekla, ventiquattr'anni, conosce il più stagionato Wystan H. Auden (1907-73) e il suo compagno Chester Kallman (1921-75) nell'estate del 1951, in quel paradiso in terra - cioè, nel mare - ch'era l'Ischia del dopoguerra: quando c'era la carrozza invece del taxi, e affittare una casa con "l'acqua corrente" significava che la proprietaria, "con una conca sul capo, saliva su una scala e la versava nella cisterna posta sul tetto". In quest'Eden dove il sole "splendeva su ogni cosa, perfino sulle ombre" e, "condotto da un ragazzo del posto nella vigna di famiglia", per meno di un dollaro un omosessuale americano "poteva avere lui e tutta l'uva che riusciva a mangiare", serenamente promiscui Auden e Kallman tornano regolarmente tutte le estati fino al 1957, facendo un po' da papà alla piccola Lisa, mentre scortano la madre "attraverso un matrimonio infelice con un bell'italiano e una deprimente storia con un accademico americano", rallegrandosi infine quando Thekla trova l'uomo giusto e diventa la signora Clark. La vociferante ma veritiera intesa ("Nessuna traccia di quei profondi silenzi pieni di comprensione così frequenti nelle descrizioni dell'amicizia. Niente di tutto questo, ma parlare, parlare, parlare giorno e notte") non dà segni di stanchezza neanche quando, ai primi sentori che Ischia si sta turisticizzando, Auden dà l'"addio al Mezzogiorno" e, grazie ai venti milioni d'un premio letterario, si compra casa in una cittadina austriaca. Così, fino alla morte del poeta nel 1973, per Theckla e famiglia in crescita (nel 1964 nasce Simon, e Chester, che tutto serio lo tiene a battesimo, nel rinunciare "al diavolo e alle sue opere" non si trattiene "dall'aggiungere sottovoce 'complete'"...) - per Theckla e famiglia, dicevo, la visita estiva a Kirchstetten diventa di prammatica. E anche Auden e Kallman frequentano i Clark in Toscana, spesso tirandosi dietro uno di quei fusti greci, tutti muscoli e niente cervello, che erano la passione di Chester, e facevano un certo scalpore alle serate più eleganti (James e Wharton presiedono, è vero: però ci sono pagine, in questa impagabile
recensioni di Rognoni, F. L'Indice del 1999, n. 10
Perché la lettura di "Mio due, mio doppio" è godibilissima anche per chi non sia particolarmente interessato alla poesia e alla vita di Auden, o ai libretti che scrisse in collaborazione con Kallman (il più famoso per la Carriera di un libertino di Stravinskij). Sia stato o meno uno dei maggiori poeti del secolo (forse - come il suo pupillo Joseph Brodsky - era troppo intelligente, amava troppo le "idee"...), Auden era sicuramente uomo di grande spirito e impareggiabile conversazione, e Thekla Clark, che lo frequentò quasi sempre in stato di grazia (i malumori di Wystan erano riservati per lo più agli inverni newyorkesi), fedele al motto audeniano che "La felicità non è una forza morale: è un dovere", rende giustizia alla sua verve - alla commedia - e non calca mai la mano quando s'insinua la malinconia ("John e io notammo che tutte le volte che noi parlavamo dei nostri figli Wystan accarezzava i suoi gatti").
Ed effettivamente la figura di Auden è, nel senso più alto e nobile, una figura comica: fino a quelle celebri rughe che, man mano che invecchiava, gli scavavano sempre di più il faccione, rendendolo "quasi bello", e delle quali (dice Thekla Clark) egli era giustamente "geloso". Tutt'altra storia, tragica, il disfacimento fisico di Chester, bellissimo e fascinoso da ragazzo (il volto da Lana Turner), poi prematuramente calvo, pingue, "la sua andatura strascicata" che s'accentua "fino a diventare quasi una deformità", sempre più scollato dal reale, incapace di rassegnarsi al passare degli anni, anche a dispetto dell'ironia ("'Ora Lana è la mia sorella minore'"), quindi sempre più disperatamente istrionico: "Povero Chester, il grande commediante il cui pubblico andava velocemente restringendosi. (...) Il suo desiderio di parlare con una sola persona alla volta dimostrava che si sentiva incapace di competere per l'attenzione di cui aveva bisogno. Stringeva un ascoltatore in un angolo, gli poggiava una mano sul braccio come a trattenerlo, e parlava, parlava, parlava senza fermarsi mai, come se temesse che il suo ascoltatore sarebbe svanito se si interrompeva".
Che è quanto di più straziante si possa contemplare, in un libro che soprattutto celebra con così urbana naturalezza il piacere superiore della conversazione.
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