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(recensione pubblicata per l'edizione del 1987)
recensione di Cionini Ciardi, E., L'Indice 1987, n. 7
"Il mito della nascita dell'eroe" (1909) mancava in Italia dal 1921, anno della sua prima ed unica edizione a cura di Levi-Bianchini per la Biblioteca Psicoanalitica Italiana, ed era divenuto praticamente introvabile. Questo lungo silenzio editoriale appare sorprendente. Il testo è una delle due prime applicazioni e trattazioni sistematiche della psicoanalisi nel campo della mitologia; l'altra è il testo di Abraham, "Psicoanalisi del mito", comparso nello stesso anno. Il lavoro di Rank ebbe un notevole successo ed un grande rilievo nell'ambiente psicoanalitico di quegli anni: ne sono testimonianza le citazioni dell'autore che Freud farà in testi successivi riguardo a temi antropologici e mitologici, così come il fatto che Freud stesso scriverà un lungo inserto nel terzo capitolo. L'inserto, lievemente ampliato, verrà in seguito pubblicato autonomamente col titolo "Il romanzo familiare dei nevrotici".
Forse il silenzio editoriale è da ricondursi alle traversie di rapporto che Rank ebbe con Freud? Di certo "il piccolo Rank" di cui Freud nel 1911 "presagiva la migliore carriera scientifica fra tutti i suoi allievi", negli anni successivi si muoverà su posizioni che Freud giungerà a ritenere incompatibili con il proprio pensiero. Il punto di rottura sarà il lavoro del 1924, "Il trauma della nascita", in cui Rank attribuisce il ruolo psicologico centrale e fondamentale nella genesi delle nevrosi appunto al "trauma della nascita" mentre per Freud il ruolo era da ricondursi, categoricamente, alla "angoscia di castrazione". Freud criticherà questo lavoro, prima velatamente, in "Il tramonto del complesso edipico" nel 1924 e poi, più decisamente, in "Inibizione, Sintomo, Angoscia" nel 1925, che sancirà il definitivo allontanamento di Rank dal movimento psicoanalitico. Da quel momento il referente privilegiato dei lavori psicoanalitici in tema mitologico sarà, prevalentemente, il già citato lavoro di Abraham.
Ancora nel 1924 nell'"Autobiografia" Freud aveva definito Rank insieme con Abraham, Eitingon, Ferenczi, Jones, Sachs ed altri come coloro con cui aveva "rapporti di collaborazione scientifica e, per lo più, di non turbata amicizia che dura ormai da un quindici anni" a proposito ed in contrapposizione ai primi "eretici" Jung, Adler, Stekel. Poco dopo la stesura di questo lavoro, non solo Rank ma anche Ferenczi si allontan• da Freud. Questa conflittualità, che sembra avere accompagnato il pensiero freudiano negli anni del primo novecento, appare più comprensibile e giustificabile se si pensa allo sforzo concettuale ed al rigore che veniva richiesto da una prima articolazione e sistematizzazione di elementi di origine disparata per costruire un corpus teorico unitario e lineare.
Ma torniamo al testo di Rank. Si era nel 1909 ed i rapporti dell'autore con il "Professor Freud" erano ottimi. Rank aveva venticinque anni e pur avendo conosciuto Freud solo tre anni prima era subito entrato nel giro dei fedelissimi. Il 1909 era stato un anno di successo per Freud e per la psicoanalisi, l'anno del "primo riconoscimento ufficiale dei nostri sforzi" come ebbe a dire lo stesso Freud ricevendo la laurea ad honorem in America. Rank è pienamente partecipe del successo di Freud e, pur descrivendosi nel testo come ancora impreparato ad esercitare la pratica psicoanalitica, mostra una notevole conoscenza teorica ed una entusiastica adesione alla psicoanalisi ed a Freud. La sua prefazione alla prima edizione esprime questo spirito nel riconoscere l'origine del lavoro come dotta ad una "suggestione" di Freud a cui pubblicamente, in calce, manifesta gratitudine.
A riprova del successo del testo nel mondo psicoanalitico, del libro di Rank furono fatte tre edizioni, nel 1909, nel 1913, e nel 1921, tutte curate dall'autore. In ciascuna di esse furono apportate delle aggiunte e delle lievi correzioni in rapporto ai successivi scritti freudiani, in specie "Totem e Tabù" come nota l'autore nella prefazione alla terza edizione, ma il testo, nel suo complesso, rimase sostanzialmente inalterato. In Italia, nonostante che il progetto di pubblicazione fosse del 1915, il libro, a causa della guerra, comparve solo nel 1921, riproducendo lo stesso testo preparato nel 1913 per l'edizione americana. L'edizione, che viene oggi presentata, è, quindi, ancora inedita, trattandosi di quella del 1909.
Il libro è suddiviso in tre capitoli. Il primo presenta una breve rassegna dei più Importanti approcci allo studio della mitologia del momento e la dichiarazione dell'autore riguardo al metodo interpretativo adottato, quello psicoanalitico con particolare riferimento al testo freudiano del 1900, "L'interpretazione dei sogni". Al contempo fonda la legittimità della psicoanalisi come strumento di indagine della mitologia assumendola quale "proiezione" del "Mondo Interno" dell'Uomo. Mondo interno postulato come "universale e immutabile" e oggetto di studio specifico della psicoanalisi stessa. Il secondo consiste in una disamina di figure di eroi ricorrenti in varie culture e per un ampio arco di tempo, da quella mesopotamica con Sargon a quella germanica del Lohengrin, e viene rintracciata la struttura comune su cui l'autore fonderà, nel terzo capitolo, la propria tesi interpretativa.
Il terzo capitolo è, forse, il più interessante del breve testo di Rank. Esso contiene il già citato inserto di Freud e mostra un curioso intreccio tra l'entusiasmo per il nuovo strumento di indagine, un sentimento di affettuosa riconoscenza per Freud, ("l'amabilità del Prof. Freud") e l'elaborazione analitica in senso stretto del testo mitologico che si formalizza nella tesi di Rank come identificazione dell'Io del bambino con l'eroe del mito. "Ricordiamoci - scrive Rank - che il mito rivela normalmente il tentativo di emanciparsi dai genitori e che tale desiderio si risveglia anche nella fantasia del bambino nel periodo in cui cerca di conseguire la propria indipendenza ed autonomia. Nel fare ciò l'Io del bambino si comporta come l'eroe della leggenda: in effetti l'eroe si deve interpretare come un "Io" collettivo dotato delle più alte qualità".
Nel 1909 Jung e Freud sono ancora amici e si può ancora parlare nell'ambiente psicoanalitico di "Io - o di Sogno collettivo", concetto di cui Rank afferma la paternità, nel primo capitolo, in riferimento al suo lavoro del 1907, "L'artista". Approccio ad una psicologia sessuale. In seguito, dopo la rottura tra Jung e Freud, il concetto di "Io-Sogno collettivo" verrà assorbito nel concetto di Inconscio Collettivo proprio del filone junghiano e verrà gradualmente abbandonato dal pensiero psicoanalitico ortodosso. La capacità mitopoietica, cioè di creare dei miti, è per Rank da mettere in relazione alla possibilità dei "creatori" di ripercorrere all'interno della propria storia personale quegli aspetti della propria infanzia che verranno poi ritradotti nelle gesta e nella figura dell'eroe. È quindi un "fantasticare retroattivo" che permette la creazione dei miti. questo concetto riapparirà nel lavoro di Ernest Kris, "Ricerche Psicoanalitiche sull'arte", del 1952, che si incentra sulla "regressione a servizio dell'io" nella formazione dell'opera d'arte.
L'interesse per l'arte e per i processi creativi del pensiero era già presente da tempo nella riflessione psicoanalitica e questo concetto era già contenuto nel lavoro di Freud del 1907 su "Il poeta e la fantasia". Rank, riprendendolo, ne sottolinea l'importanza e ne amplia la portata soprattutto là dove afferma "I singoli creatori ... hanno modellato questa singolare infanzia dell'eroe partendo dalla conoscenza della loro stessa infanzia". Questa conoscenza sembra sottendere quella visione della mitologia come teoria psicologica che Freud affermerà tre anni più tardi in "Totem e Totem" per quel "bisogno pratico dell'uomo di assoggettare il mondo". È una concezione, peraltro, che viaggerà in sordina nel pensiero psicoanalitico rispetto alla visione della mitologia come luogo di assolvimento di fantasie pulsionale analogo al sogno ed al delirio psicotico. Anche Rank parla di parentela tra il mito ed il sistema delirante del paranoico. Di quest'ultimo sottolinea l'aspetto egoistico e propone un curioso confronto con la figura sociale dell'anarchico di cui traccia un profilo sulla falsariga dell'eroe: "a differenza del paranoico che per il suo carattere passivo deve patire persecuzioni e pregiudizi provenienti in ultima analisi dal padre ... l'anarchico invece resta fedele al carattere eroico mettendosi lui stesso a perseguitare il re: ed alla fine lo uccide proprio come fa l'eroe".
Nella "rivolta contro il padre" Rank vede la giustificazione del mito della nascita dell'eroe: "Questa (rivolta) l'ha così angustiato nella infanzia che egli ... può ora giustificarsi facendo appello al fatto che il padre stesso gli ha fornito motivo di ostilità e nella stessa fantasia compare come abbiamo visto anche un sentimento affettuoso verso il padre". Il mito sembra quindi fornire una soluzione culturale ad una contraddizione interna tra sentimenti antitetici di ostilità e di sfida, di tenerezza e di bisogno verso il padre. Ed è proprio ciò che Rank afferma a conclusione della sua tesi interpretativa agì giungendo, quasi dispiaciuto, di non aver rintracciato in questi miti "in maniera chiara che il conflitto con il padre risale alla rivalità sessuale per la madre". Quest'ultima affermazione sembra rivelare l'atmosfera culturale e di ricerca in cui si muoveva, con fervore, in quegli anni, il pensiero psicoanalitico.
Rank, studente di filosofia, aveva conosciuto Freud un anno dopo la pubblicazione del lavoro sul "Motto di spirito" che è del 1905 e che può considerarsi come il primo lavoro di psicoanalisi applicata. Nello stesso anno Freud scrive "Personaggi psicopatici sulla scena". Nel 1906 la "Gradiva", nel 1907 scrive "Prospetto di psicoanalisi applicata", nello stesso anno "Il Poeta e la Fantasia" e "Azioni ossessive e pratiche religiose", nel 1908 "Morale sessuale e civile e nervosismo moderno". Nel 1909 pubblica il lavoro su Leonardo da Vinci e "Il romanzo familiare dei nevrotici" e nel 1911 inizierà a lavorare su "Totem e Tabù". La psicoanalisi, dunque, dopo i primi lavori di Freud che aveva tentato una sua prima teorizzazione nel "Progetto per una Psicologia" del 1895, si rivolgeva al di fuori di uno spazio clinico tradizionale e, sulla scia dell'"Interpretazione dei sogni" e della "Psicopatologia della vita quotidiana", lavori scritti tra il 1899 e il 1901, si poneva ora in relazione con campi di esperienza e di sapere molto diversi.
Soprattutto nel campo artistico, e in quello letterario in particolare, la psicoanalisi ricercava "gli alleati preziosi", i poeti, "giacché essi sono soliti sapere una quantità di cose fra cielo e terra che la nostra filosofia neppure sospetti" come ebbe a dire Freud nella "Gradiva" e più avanti nello stesso lavoro. Così n‚ il poeta può sfuggire allo psichiatra, n‚ Io psichiatra al poeta. E quindi una psicoanalisi che interroga le altre discipline, non solo alla ricerca di conferme delle proprie ipotesi ma anche per trarne stimoli che vengano ad arricchire la comprensione della psicologia umana. Il lavoro di Rank si muove su questo filone, che l'autore aveva già trattato nel lavoro precedente sull'artista e che seguirà prevalentemente nei lavori successivi. In questo senso la possibilità di rintracciare conferme o smentite alle ipotesi emerse dal lavoro clinico, che peraltro Rank in quegli anni non praticava direttamente, assumeva, in quell'atmosfera, un peso ed un significato notevole. Se pensiamo all'importanza ed alla centralità che ha, nel pensiero freudiano, la tematica edipica, possiamo anche rilevare, in riferimento alla frase succitata circa il mancato rinvenimento di una conflittualità sessuale con il padre, la posizione etica di Rank. Egli infatti nonostante tutto l'entusiasmo e la passione che esprime per la psicoanalisi nelle pagine del libro, non forza il testo mitologico a favore della propria tesi ma rispetta i limiti del materiale in esame. Ma i limiti, visti dalla posizione privilegiata di ottant'anni di distanza, sono anche interni allo strumento concettuale a disposizione di Rank. Si pensi a tutto lo sviluppo ed approfondimento che avrà, negli anni successivi, il pensiero freudiano ed a tutta l'evoluzione che è avvenuta dopo Freud nella psicoanalisi, ma sempre a partire, vale la pena ripeterlo, dallo slancio e dallo stimolo dei lavori di quegli anni in cui oltretutto, e non a caso, venne varato il termine di "movimento psicoanalitico". D'altra parte anche gli studi mitologici, seppur certamente non così giovani, erano ancora privi a quel tempo di quei contributi che li arricchirono negli anni successivi, modificandone sostanzialmente la visione.
Agli inizi del secolo infatti lo studio ufficiale della mitologia era dibattuto tra due modalità di approccio distinte. Una promuoveva un orientamento dello studio del materiale mitologico che tendeva ad una accettazione della mitologia in sé e per sé, come portatrice di una verità interna; un "bere alla sorgente" come sosteneva Kerényi e si risolveva poi in numerose correnti eterogenee, da M. Eliade a Cassirer. L'altra, più omogenea, allora e per lungo tempo dominata dalla figura di Wilamowitz - della scuola filologica tedesca, indirizzava lo studio nella ricerca delle spiegazioni del materiale mitologico e ne rintracciava prevalentemente un referente naturalistico o storico.
La collocazione dell'apporto psicoanalitico entro questi due filoni appare ostica. Pur avvicinandosi maggiormente, in alcuni casi, al primo filone e contribuendo, come nota Marchiaro per il libro di Rank "Alla caduta della mitologia, del mondo sovrasensibile, dall'empireo immobile e puro al mondo della vita quotidiana..., la psicoanalisi incontrerà molte resistenze da parte della maggioranza degli esperti del campo. Solo Jung e la sua scuola, una volta staccatosi da Freud, svilupperà negli anni successivi un certo accordo di lavoro con Kerényi. Il pensiero freudiano, così come quello di Rank e di Abraham quando venne accolto fu ascoltato in genere con sospetto e diffidenza, se non con aperta ostilità.
Di questo Rank si lamenterà direttamente nel '21 nella prefazione alla terza edizione del suo libro: "In opposizione flagrante con questo successo apparente - scrive - è doveroso constatare che gli specialisti della materia ai quali questo libro doveva portare un contributo, non gli hanno mostrato finora che ben poca comprensione". Di contro la psicoanalisi rimarrà, negli anni successivi, per lo più ancorata in campo mitologico allo schema Mito-Sogno-Delirio secondo la lettura di Abraham, più dogmatica di quella di Rank. Ma soprattutto tralascerà l'indicazione freudiana, già citata, che pure compariva in un testo fondamentale e conosciutissimo quale "Totem e Tabù", che intendeva la mitologia come una "teoria psicologica", trascurandone tutto il potenziale euristico.
La parentela tra mito e delirio e, potremmo aggiungere, sogno, di cui parla Rank, e senz'altro presente ed il suo disvelamento è necessario per una intelligenza più approfondita del materiale mitologico. Ma, come fa notare lo stesso Rank, il delirio ed il sogno sono elaborazioni fondamentalmente "egoistiche" che si risolvono nel e per il singolo individuo rimanendo, per così dire, chiuse in lui stesso. Molto più complessa appare quindi la funzione del mito che si esplica nel duplice versante di risposta ai bisogni dell'uomo da una parte e di strumento sociale dall'altra. In entrambi i casi la funzione del mito è resa possibile però sulla base della sua partecipabilità e condivisibilità da parte di tutti i membri del gruppo culturale in cui il mito si esprime all'interno del proprio linguaggio.
Riguardo al primo versante Freud nel 1929 in "Il disagio della civiltà" descriverà il sentimento religioso come derivato, in prima istanza, "dalla impotenza infantile e dalla conseguente nostalgia del padre" ed in seconda istanza in relazione al sentimento oceanico" di "essere uno con il tutto". Ancora prima nel 1927 in "L'avvenire di un'illusione" rintracciava il compito degli dei nella triplice funzione di "esorcizzare i terrori della natura, riconciliarci con la crudeltà del fato ... della morte, risarcirci per le sofferenze e privazioni imposte dalla civile convivenza". Sono senza dubbio lavori molto successivi al libro di Rank che oltretutto risentono, nel loro elaborato complesso, di tutto il cammino compiuto dal pensiero freudiano, ma, per certi versi, appaiono sulla stessa linea di pensiero che vent'anni prima aveva suggerito il testo di Rank. Ed è proprio a partire dal Mito della nascita dell'eroe che possiamo seguire, almeno suggestivamente, un percorso di idee in relazione al secondo versante. "Accanto all'interpretazione astrale - scrive Rank nel primo capitolo - si dovrebbe ammettere, almeno con gli stessi diritti, la validità della parte che spetta alla vita psichica nella formazione dei miti". Questa dimensione apre la strada ad una concezione della mitologia come contenitore di conoscenze. Conoscenze astrali, naturalistiche, storiche, geografiche, compartimentali, ma anche psicologiche. Quella conoscenza cioè della propria infanzia di cui parlava Rank a proposito dei "creatori dei miti" che si costituisce nel mito in una qualche teoria psicologica di cui parlerà poi Freud. Questa visione "funzionale" del mito come contenitore e trasmettitore di conoscenze è anche estremamente coerente all'ambiente originario proprio del mito che e quello della cultura orale. Priva di scrittura e quindi con un alto rischio di dispersione del proprio sapere, questa cultura deve affidare alla parola tutto ciò che concerne la propria sopravvivenza ed alla memoria la sua conservazione e trasmissibilità. Di qui, gli espedienti mnemonici che si possono rintracciare nella struttura compositiva interna del mito: il carattere ripetitivo, l'uso di figure emblematiche a forti tinte, il carattere narrativo degli accadimenti e delle situazioni che, peraltro - e ciò va sottolineato - devono essere riconoscibili e condivisibili dai singoli sulla base di una possibilità identificatoria con le stesse in quanto si riferiscono emotivamente al proprio mondo esperienziale.
Un lontano e pallido esempio di funzionamento mitologico lo si può ricavare oggi dalla pubblicità, se la consideriamo, come è, un trasmettitore di informazioni, e da tutto il lavoro sotterraneo che la produce dalle ricerche motivazionali, all'individuazione del mercato, alla necessità di condensare nel minor tempo possibile la maggior quantità di informazioni, fino all'attenzione per la sua permanenza nella memoria del fruitore mediante l'impatto emotivo e la ripetitività del messaggio.
Certo le aperture che il testo di Rank fornisce sono molte e suggestive. Ripresentare oggi sul mercato editoriale "la magnifica monografia", come la definiva Levi Bianchini nel 1921, appare quindi come una doverosa operazione di filologia psicoanalitica che ci permette, proprio nell'edizione originale del 1909, di entrare direttamente in contatto con uno dei momenti più vitali della psicoanalisi e con uno dei suoi personaggi più creativi.
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