Lo sguardo di Ifigenia si perde nella distesa del mare. Così la ritrae un pittore tedesco dell'Ottocento legato, per cognome e parentela, a uno dei maggiori giuristi del suo tempo e di ogni tempo. Non potrebbe esserci immagine più emblematica per rappresentare, insieme, l'eternità dei miti della Grecia («queste cose non avvennero mai, ma sono sempre»), l'ammaliante e simbolica ambivalenza del rapporto con il mare di quella civiltà e l'interrogazione fondamentale, per il mondo del diritto e della giustizia, che la geografia dello spirito disegnata dai flutti dell'Egeo nel lambire quelle coste, quelle isole, incessantemente rivolge agli umani. Il lettore di quest'opera potrà trovare nella letteratura greca (da quella arcaica fino alla poesia neoellenica e alle riscritture moderne del mito), i «punti di riferimento tracciati dagli astri nella volta del cielo» (M. Detienne) per veleggiare «nell'arcipelago in cui iniziò il grande destino della civiltà occidentale» (M. Heidegger) e approdare ai lidi della giustizia. A questo «bel viaggio», «fertile in avventure e in esperienze» (C. Kavafis), a questo eterno tendere verso l'ideale Itaca dell'hesykía, in cui si ricompongano i conflitti, si plachino le contese, si allontani la hybris, non è certo chiamato il solo professionista del diritto. «Sempre devi avere in mente Itaca»: ognuno, ma proprio ognuno, ogni giorno, gettato nel mare dei fatti della vita, deve cercare il poros, la via. E, come nell'arte della navigazione, deve saper «giocare d'astuzia col vento, essere sempre sul chi vive, prevedere l'occasione migliore per agire». L'«intelligenza dalle mille sfaccettature», la gnome polybulos che, secondo Pindaro, è la virtù del pilota, lo è anche dell'essere umano proteso alla ricerca di 'parole giuste'.
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