Dopo aver conquistato le platee con la forza e la grazia dei suoi gesti, Vaslav Nijinsky, soprannominato il dio della danza, nel 1912 debuttò come coreografo con L'après-midi d'un faune. Il lavoro sconcertò il pubblico perché Nijinsky aveva messo in discussione i principi della tecnica della danza accademica, tecnica di cui lui era maestro assoluto. La storia della danza dei primi anni del Novecento è piena di momenti memorabili e il primo allestimento del balletto L'après-midi d'un faune è uno di essi. Per ricordare quell'evento, nel 2012 il ballerino e coreografo Toni Candeloro curò una mostra al museo della Scala con pezzi della sua ricca collezione: fotografie, disegni e costumi delineavano un percorso alla scoperta di alcuni episodi e personaggi di quel periodo, passati dalla storia al mito. Buona parte del materiale esposto è adesso riprodotto nel volume Il mito nel mito e serve per illustrare una raccolta di contributi. Al lettore che non abbia visitato la mostra, la scelta dei contenuti può sembrare un po' arbitraria: accanto a pagine di taglio divulgativo, come quelle relative alle biografie di Isadora Duncan e Lèon Bakst, si trovano altre dal valore documentale, come la testimonianza di Sylvano Bussotti, e altre ancora dall'approccio prettamente scientifico, come lo studio di Maria M. L. Bahena Yaghen-Vial sulla psicopatologia di Nijinsky (pubblicata originalmente in una rivista di psicoanalisi). Se, da una parte, la varietà può minare la coesione del volume, dall'altra può far scaturire proficui dialoghi tra contributi dissimili: il saggio di Elena Randi e l'intervista al ballerino Milorad Miković, ad esempio, affrontano L'après-midi d'un faune da prospettive diverse ma complementari. Miković fu il primo interprete del fauno nella versione originale dopo la morte di Nijinsky e nell'intervista racconta come riuscì a ricostruire il balletto grazie ai ricordi di due ballerine che avevano danzato alla rappresentazione del 1912. Attraverso lunghe sessioni di prove, il ballerino poté comprovare sul proprio corpo la modernità e l'originalità del fauno e, quando abbandonò la danza, preparò altri giovani ballerini a interpretare questo ruolo. Anche Randi si occupa della ricostruzione del balletto ma attraverso lo studio di fotografie, disegni e della trascrizione della coreografia fatta da Nijinsky nel 1915. Nello studio l'autrice sostiene che le scelte innovative del coreografo avevano l'obiettivo di realizzare una sintesi delle arti al di là di ogni istanza naturalistica: egli non voleva creare l'illusione di un fauno reale nel suo ambiente naturale, bensì imitare i gesti primordiali delle figure disegnate sulle ceramiche greche antiche. A partire dalle osservazioni sulle peculiarità della coreografia, Randi conduce un'interessante indagine sul significato del balletto: la ricerca della sublimazione del desiderio erotico. Anche il saggio di Mathias Auclair tratta della creazione di Nijinsky, stabilendo un confronto con altri balletti del repertorio dei Ballets Russes di Diaghilev ambientati nella Grecia classica. Tra le immagini più accattivanti della sezione iconografica ci sono i bozzetti che Valentine Gross fece durante le prove de L'après-midi d'un faune. I disegni della Gross relativi al Sacre du printemps sono stati più volte pubblicati, ma quelli erano rimasti inediti: si tratta di istantanee che colgono con tratti essenziali quei passi rivoluzionari ideati e interpretati da Nijinsky. Liana Püschel
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