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Molecole e menti - Steven Rose - copertina
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Molecole e menti

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1990
1 gennaio 1990
Libro universitario
216 p.
9788820718060

Voce della critica


recensione di Oliverio, A., L'Indice 1991, n. 7

Steven Rose è ben noto al pubb1ico italiano per numerosi contributi su diversi temi di politica e sociologia della scienza e per altre opere, più "tecniche", nel campo delle basi biologiche del comportamento: anche in queste ultime, però, traspare sempre un'ottica particolare, attenta ai pericoli del riduzionismo in un settore, quello della biologia del comportamento, che ben si presta a vaghezze, metafore, facili generalizzazioni. Il suo ultimo saggio tradotto in italiano, "Molecole e menti", affronta diverse tematiche a lui care, dal riduzionismo in biologia alle teorie - e implicazioni politiche - sulla natura umana, dalle ricerche e sviluppi nel campo dell'ingegneria genetica alla neurobiologia. E tuttavia il saggio ha una sua unità, un filo conduttore che attraversa i diversi aspetti della biologia contemporanea attraverso le loro ricadute sociali, le implicazioni culturali e, non ultimi, gli aspetti metodologici.
Rose ha lavorato per anni nella neurochimica, svolgendo ricerche sui correlati neurobiologici della memoria e dell'apprendimento; a questo tema sono dedicati gli ultimi due capitoli del suo recente libro. Il primo affronta il problema dei fondamenti cerebrali delle attività mentali da un punto di vista generale, tentando cioè di stabilire le regole per una strategia di ricerca in questo campo. Il secondo cerca di mostrare come una strategia riduzionista (l'analisi biochimica) possa essere applicata in una "cornice teorica non riduzionista" (una particolare forma di memoria che si verifica nei pulcini nel corso dello sviluppo); ma soprattutto testimonia dei problemi che si presentano allo scienziato nel valutare la propria opera e nel confrontarsi con gli stessi problemi e approcci da lui criticati in saggi sull'operato di altri scienziati.
Considerati in quest'ottica gli ultimi due capitoli di "Molecole e menti" rappresentano un'interessante testimonianza dall'interno della comunità scientifica, da parte di uno scienziato fortemente critico nei riguardi della scienza "riduzionista ". È possibile salvare il riduzionismo se lo si applica a un tema della biologia dello sviluppo, cioè all'ontogenesi del comportamento? Esiste un riduzionismo praticabile e uno non praticabile? È riduzionista un approccio particolare o la tematica cui viene applicato? E, infine, applicare un approccio neurobiologico a un tema "ontogenetico", cioè allo studio dello sviluppo del comportamento di un organismo animale - qual è il tema dell'imprinting nel pulcino, studiato da Rose -, conferisce una valenza diversa? In altre parole: se una metodologia è corretta e ben impostata e se l'ipotesi di lavoro è solida, si è autorizzati a praticare forme di riduzionismo "spinto" nel caso specifico a individuare alcuni correlati neurochimici nel corso dell'imprinting nel pulcino?
Nel penultimo capitolo del suo saggio Steven Rose traccia una mappa dei criteri necessari a soddisfare un approccio neurobiologico alla memoria: si tratta di criteri "tecnici" ma non per questo meno interessanti per il lettore. I criteri su cui Rose si sofferma puntano a definire l'oggetto dello studio, a isolare le variabili specifiche rispetto a quelle aspecifiche, a proporre un modello "valido" che consenta di appurare come l'esperienza altera la biochimica cerebrale trasformandosi in memoria. Da questi criteri egli muove infine per indicare come il modello di studio prescelto, l'imprinting, rappresenti un candidato ideale per individuare i correlati neurochimici della memoria, o meglio di alcune forme di memoria. Il modello proposto - che evidenzia come nel cervello dei pulcini sottoposti precocemente a delle esperienze si verifichino alterazioni neurochimiche direttamente correlate all'esperienza e non ad aspetti marginali della situazione sperimentale - rappresenta uno dei modelli più interessanti per studiare le basi neurobiologiche di alcune forme di esperienza.
In questo settore, d'altronde, Rose, e il gruppo di ricerca di Cambridge con cui egli ha collaborato, hanno ottenuto risultati concettualmente simili a quelli ottenuti su alcune specie di invertebrati da Erik Kandel o sui topolini da Gary Lynch. La registrazione di eventi critici a livello della trama nervosa implica infatti cambiamenti molecolari delle proteine, che sono alla base di un "riarrangiamento" dei circuiti nervosi attraverso la formazione o stabilizzazione delle sinapsi, i punti di contatto tra neurone e neurone.
La memoria può quindi essere ridotta a molecole? No, sostiene Rose nelle ultime righe del suo saggio: la memoria sta nelle trame nervose riorganizzate dalle molecole. Questa distinzione, tuttavia, non sminuisce certamente la carica riduzionista del suo approccio, anche se Rose indica che è necessario "impiegare strategie riduzionistiche per capire un fenomeno che di per se stesso non può essere così ridotto", cioè la memoria. Giustamente egli si augura di convincere i critici più radicali di qualsiasi tipo di riduzionismo della necessità di praticare un approccio neurobiologico se si vogliono comprendere i "meccanismi" della memoria; tuttavia mi pare che una parte del suo ragionamento, volto a salvare alcuni aspetti del riduzionismo, sia un po' troppo sottile. La memoria non sta nelle molecole ma nelle trame nervose ma le trame nervose non sono anch'esse un substrato materiale? Certamente nessuno oggi affermerebbe che la memoria è una molecola, ma la memoria non è nemmeno una trama nervosa: anche se è vero che senza molecole e senza trame nervose non possono esistere memorie come senza un'appropriata informazione genetica non possono esistere neuroni, circuiti, imprinting, memorie, intelligenza...

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