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Anno edizione: 2015
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La mattina del 5 agosto 2010 una squadra di trentatré uomini che lavorano nella miniera di rame e oro di S. Josè, nel deserto di Atacama, in Cile, avverte un rombo cupo nelle viscere della montagna. Un’enorme lastra di pietra, grande come un grattacielo, è precipitata bloccando le gallerie e intrappolando i minatori a settecento metri di profondità, con poca luce, acqua corrente, cibo. Da tutto il mondo si organizzano i soccorsi: diciassette giorni dopo il crollo, una sonda raggiunge una galleria vicina al rifugio dei minatori, che per giorni hanno ascoltato il rumore dello scavo. Gli uomini sono tutti vivi e in discrete condizioni, ma il problema, risolte le più immediate necessità di cibo e acqua, è estrarli dalla miniera. Arrivano enormi macchinari industriali, si scavano tre pozzi paralleli sperando che almeno uno riesca a raggiungere i minatori intrappolati. La salvezza arriverà dopo sessantanove giorni. Ho letto il libro di Paolo Di Stefano “La catastròfa” sul disastro di Marcinelle, in Belgio, dell’8 agosto 1956, in cui perirono 262 minatori. Colpisce che in miniera si muoia ancora, cinquant’anni dopo, ma, anche se le circostanze erano diverse, maggiori misure di sicurezza, la presenza di un rifugio di cemento armato, con una porta di acciaio, riserve di cibo e acqua, ha consentito la sopravvivenza dei minatori cileni. Sono uguali però le donne, mogli, fidanzate, madri, sorelle, accampate davanti ai cancelli della miniera, nella speranza di rivedere i loro cari. Sono uguali anche la solidarietà e il cameratismo, la soddisfazione di avere un lavoro che consente di vivere dignitosamente. Tobar intervista i sopravvissuti e i loro familiari, raccogliendo testimonianze drammatiche, ma anche curiose e divertenti, come i racconti di mogli e amanti che si ritrovano assieme e solidarizzano, o le dispute fra i parenti in previsione di aiuti economici. E’ un libro coinvolgente ed emozionante, anche se la conoscenza della conclusione riduce la suspense.
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