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"La morte dei fascisti" è stato l'ultimo libro di Giano Accame, uno dei più noti intellettuali di destra del secondo dopoguerra; infatti morì nel 2009 lasciando il volume incompiuto. Proprio del rapporto tra la morte e il fascismo Accame si occupa: un tema, quello della morte, che è un tabù per la società odierna individualistica e liberale. L'Autore attraverso un personale viaggio all'interno del fascismo, della sua storia, della sua filosofia, del sua concezione della vita e del mondo, ricostruisce l'essenza di questa fondamentale ideologia che ha segnato il XX secolo. Vengono presi in considerazione numerosi autori che nel corso del secolo scorso furono fascisti o accusati di esserlo. Da Pound a Gentile, da Céline a Marinetti, fino agli autori tedeschi della Rivoluzione Conservatrice: Heidegger, Schmitt, Spengler, Junger e a quelli francesi, Brasillach, Rebatet, Drieu la Rochelle, Accame mette in evidenza che la morte per il fascista è un qualcosa di naturale che va serenamente accettato e anzi spesso la ricerca della "bella morte" è ciò che contraddistingueva i giovani volontari della RSI, per i quali una morte gloriosa, in cui la vita veniva donata per un più alto ideale, l'onore della Patria, riscattava la viltà di un tradimento, come quello dell'8 settembre 1943. Significativo è l'episodio riportato da " La Pelle" di Malaparte in cui giovanissimi fascisti attendono quasi sfrontatamente di essere fucilati dai partigiani sulle scalinate del Duomo di Firenze. Insomma il motto "me ne frego"fatto proprio dal fascismo è la cifra della sua concezione della morte. Un libro davvero insolito, non un studio storico, ne un trattato di filosofia, forse qualcosa che li sintetizza entrambi. Il libro di commiato dalla vita terrena di Accame è consigliabile anche per la notevole ricchezza delle citazioni contenute, che ne fa un unicum nella vasta pubblicistica dedicata alla storia e ideologia del fascismo, fenomeno controverso, a cui sono stati dedicati migliaia di studi.
Libro mediocre, nel senso etimologico della parola. Una serie disomogenea (per quantità e qualità) di recensioni, ricordi e analisi storico-culturali in cui si salvano i saggi sulla poesia e il pensiero politico di Ezra Pound e poco altro. Se non altro è scorrevole (perché Accame è uno che sa scrivere) ma questo pregio non copre il vuoto pneumatico di idee e di polemiche fuori tempo massimo (a 60 anni dalla morte del Duce e con il suo itinerario intellettuale 1000 volte sviscerato, presentarlo come un fervente cattolico mi pare insensato perfino per il più irriducibile dei repubblichini) che fanno sì che una volta terminata la lettura si riponga il libro nello scaffale per non riprendelo più. Peccato, l'idea di partenza era sicuramente buona.
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