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La tesi del libro è elementare: lo studio del modo in cui la morte è stata trattata nel tempo vale a comprendere in profondità il modo in cui la cultura occidentale si è evoluta da una fase storica all'altra. E considerando che la seconda tesi (implicita) del libro è l'idea della centralità della morte nel discorso culturale di ogni tempo, ne consegue che una storia della morte diventa una storia della cultura tout-court. Con tutto il suo inevitabile carico di pesantezza. Il limite principale di quest'opera è la sua costante tendenza al descrittivismo. Vovelle ci porge in ogni pagina una mole enorme di dati, senza quasi mai mettersi in gioco con la sua interpretazione degli elementi da lui posti. Apprezzo la logica di questa operazione, la quale segnala la concessione al lettore di una certa libertà; tuttavia un testo così impostata non 'funziona', diventando alla lunga stancante e noiosa. Altro difetto non da poco consiste nella concezione stessa dell'opera: insistendo sulla definizione dell'importanza della morte nel discorso culturale europeo, l'autore cade involontariamente nella trappola di restituire un'immagine giocoforza unidimensionale della cultura stessa. Sembra quasi che gli uomini negli ultimi sette secoli non abbiano fatto altro nella loro vita che pensare all'ultima ora. Infine, va detto, Vovelle tende a sopravvalutare la rappresentatività del discorso intellettuale rispetto a quello 'basso' e 'comune'. Cita Pascal, Cartesio, Diderot, Sade, non però colui che conta di più in termini numerici, ovvero Jacque Bonhomme. E questo mi pare infici grandemente l'affidabilità di quest'opera, che andrà pertanto citata fra le letture importanti ma non ineludibili.
Un saggio fondamentale,che apre la mente e aiuta a comprendere il ruolo centrale che la Morte ha avuto nei secoli.La sua influenza in arte ,in letteratura,in economia...Straordinariamente interessante.
Recensioni
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