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Recensioni Mosche d'inverno. 271 morti in due o tre prose

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La morte come realizzazione perfetta della vita, è la chiave scelta da Baroncelli, in questi fulminanti microracconti, per rievocare le circostanze pratiche e spirituali del trapassare di altrettanti protagonisti della storia, della mente, della cultura, della memoria personale e collettiva. Sono quindi tanatografie, per così dire, o biografie ironiche, colte, capziose, prese da un particolare della vita, come una tela si prende da un lembo, che nel caso è la morte; e anche quando questa è tanto oscura o luminosa quanto un personaggio è stato brillante o opaco, la morte si offre comunque, nel racconto, come un'impossibile chiarificazione. Perché ci interpella, riuscendo a opporre sempre il suo abissale punto interrogativo. Da Agrippa a Mae West, passando per centinaia e centinaia di ombre persistenti nell'immaginazione; schierate per voci: Cari agli dèi, Cuori infranti, Di cosa ?, Di freddo, Di gioia, Di spada, Di un male, Fantasmi, eccetera fino a Vecchi. Ci vengono incontro, sono infatti i morti, pensa Baroncelli, a evocare noi. )
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