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Il grigio, la polvere, scandiscono la narrazione vivida di immagini e particolari forti di questo secondo romanzo del quarantaduenne marchigiano Daniele Garbuglia, che ritorna dopo il suo ultimo Home che ci aveva già stupito, per una lingua attenta ai moti segreti dell'animo. Un ragazzo è apprendista in una falegnameria gestita dal cinquantenne Claudio, ma è ai primi passi. Vive solo con la madre e ha la scarpa da ginnastica destra con un buco. Il suo telefonino non è caldo di messaggi e ha un vuoto dentro che gli è esploso improvviso, come l'airbag rotto nell'incidente stradale che lo ha privato del padre. Le sue giornate quando la notte smette i suoi incubi sono ritmate dal lavoro in falegnameria, da esercizi ginnici in una palestra improvvisata, che si è allestita in un casotto vicino casa, e da frequenti soste sul luogo dell'incidente: dopo un curva a gomito con un improvvisa voltata a sinistra, con la strisciata e il buco nell'albero. Il padre era il suono del rasoio elettrico che la mattina spegneva i suoi incubi, una mano che odorava di arance, una visione serale di comiche di Stanlio e Ollio. Solitario come lui, ma essenziale alla sua vita che riempiva di scherzi. Ora bisogna crescere, ma non si trovano più le radici perché i due non si erano aspettati. E bisogna crescere in maniera istantanea, come è una morte improvvisa in un incidente stradale. Chi aiuterà il ragazzo a ritrovare quel sorriso rifugio? Forse la ragazza che vede al bar con le cuffiette e che gli fa dimenticare tutti i pensieri, anche quelli pesanti come macigni? Alla fine la sorpresa, più da giallo, sull'identità del possibile assassino involontario, che guidava quel furgone bianco che ha causato l'incidente mortale del padre. L'anamnesi nei ricordi familiari e sociali è finita. La strada della sua vita cambia, "arriva lunga, dritta, fino alla curva secca che gira all'improvviso". La linea d'ombra è doppiata.
Vincenzo Aiello
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