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Secondo la profezia di Malachia, l’ultimo pontefice si chiamerà Pietro II: pochi anni ci dividono da lui, e il suo papato porrà il sigillo alla storia della Chiesa. Vecchio e deluso, angosciato dal mancato compimento dell’annuncio di salvezza tramandato lungo i millenni e dal presentimento della fine della storia, Pietro II scrive due encicliche. La prima – Resurrectio mortuorum – riafferma alla lettera la più radicale e sconcertante verità cristiana, la promessa più ardita e irrinunciabile della fede: la resurrezione dei morti. La seconda espone e interpreta quel Mysterium iniquitatis di cui Paolo ha scritto profetizzando la grande apostasia finale e sul quale la Chiesa, nel suo insegnamento, ha sempre taciuto. Non a caso: secondo l’esegesi del suo ultimo papa, infatti, è innanzitutto nella Chiesa – baluardo contro il male – che il male stesso si annida. E così la seconda enciclica di Pietro II si conclude con parole che sanciscono solennemente «il dogma del fallimento del cristianesimo nella storia del mondo». Subito dopo tali durissime rivelazioni Pietro II sale all’interno della cupola di San Pietro e muore precipitando all’incrocio dei bracci della croce, «nel luogo dei falsi trionfi, là dov’è anche sepolto il pescatore di Galilea». È questa la traccia di una «storia dell’ultimo papa» che ha ossessionato Quinzio per anni, da quando ne scrisse per la prima volta in La croce e il nulla. Rinunciando a ogni impalcatura narrativa, Quinzio ha finalmente deciso di prestare all’ultimo papa, alla fine dell’ultimo millennio, i suoi pensieri e le sue parole – e ha voluto accompagnare le due encicliche di Pietro II con una breve e lucidissima analisi di sé. E proprio questa rinuncia dà ancora maggiore evidenza alla natura drammatica e sconvolgente dell’interrogativo, perennemente eluso, sulla morte e sul male.
Mysterium iniquitatis è apparso per la prima volta nel 1995.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Pubblicando nel 1995 queste pagine "apocalittiche", feroci e disperate, Sergio Quinzio sperava che potessero interrogare, scuotere e sconcertare il "sempre più vago, timido, incerto, reticente annuncio cristiano nel mondo". E nell'immaginare due encicliche (terribili e liquidatorie) firmate da un ipotetico ultimo papa Pietro II, si spingeva a profetizzare "la consumazione dell'orizzonte teologico cristiano", la fine di una Chiesa ormai ridotta a un trionfale ruolo mondano, e la cancellazione dell'istituto pontificio con il suicidio sacrificale dello stesso Vicario di Cristo. Le due encicliche trattano di argomenti spinosi e tormentanti, su cui la Chiesa da secoli non si interroga più, temendo le reazioni incredule e la commiserazione ironica della contemporaneità: da un parte la resurrezione dei morti "nella stessa carne nella quale hanno patito nel mondo", e dall'altra l'affermazione del fallimento del cristianesimo a causa del male esistente all'interno della Chiesa stessa. Se riguardo al primo argomento Quinzio si è espresso sempre con l'esaltata convinzione di chi vuole credere "quia absurdum", opponendosi a qualsiasi edulcorazione teologica del radicale annuncio evangelico, nella seconda enciclica dichiara a gran voce la sua rabbia verso una Chiesa-istituzione che "ha ibernato verità che erano essenziali", riducendosi laicamente a indicazioni puramente etiche, ma sostanzialmente dimentiche del messaggio di Cristo. Consapevole che il suo prestare a un fantomatico ultimo papa il suo pensiero e le sue parole può definirsi un atto "non precisamente umile", Quinzio nella postfazione precisa cosa l'abbia spinto a scrivere pagine tanto profeticamente esaltate e dure, e ribadisce il suo rifiuto a qualsiasi religione annacquata da esoterismi, ecumenismi, secolarizzazioni, ansie scientifiche, ipotesi ermeneutiche e demitizzazioni. Così radicale e impietoso da auspicare una Chiesa crocefissa nel mondo, morta nella storia, per poter risuscitare alla vita senza fine.
Per un teista, il “mysterium iniquitatis” del paolino 2 Tessalonicesi 2, 7 consiste nel “Cur malum?”, la devastante incoerenza tra la fede nel sussistere di Dio e la constatazione oggettiva del male/negativo, non solo come dolore e sofferenza ma ancor prima come benessere edonistico non assoluto, supremo, sommo, massimale, ottimale, degno appunto d’un’Entità perfettamente positiva. Invece gli atei è ovvio che il problema del “Cur malum?” non hanno motivo di porselo, il male c’è poiché così è il cosmo con la storia che ci è data. Eppure anch’essi hanno una loro specifica e precisa forma di “mysterium iniquitatis”: è un mistero come possa DAVVERO scomparire, essere estinta ontologicamente, l’esperienza dell’iniquità che abbiamo già esperito e che comunque sta contrassegnando il nostro universo fin dal big bang. Non c’è ipotesi cosmologica, per quanto ardita e fantascientifica, che riesca a fornire uno straccio di risposta. Come fa un dato oggettivo già avvenuto o già vissuto a essere annientato, annichilito radicalmente? Ogni soluzione non arriverebbe forse sempre troppo tardi, in modo riparatorio e non preventivo? Quinzio, da fervente cristiano, si pone solo il “primo tipo" di domanda, ma è già un buon inizio. Per di più, osa prendere sul serio le profezie di Malachia, non dal punto di vista storico o filologico, ma proprio futurologico: escatologicamente, la Chiesa è un’istituzione a termine così come la religione del Nazareno. E ne scrive come se per lui ciò fosse un esito liberatorio rispetto a un fallimento divenuto vergognosamente insopportabile, scandalosamente insostenibile.
Recensioni
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Secondo la profezia di Malachia, l'ultimo pontefice si chiamerà Pietro II: pochi anni ci dividono da lui, e il suo papato porrà il sigillo alla storia della Chiesa. Vecchio e deluso, angosciato dal mancato compimento dell'annuncio di salvezza tramandato lungo i millenni e dal presentimento della fine della storia, Pietro II scrive due encicliche. La prima Resurrectio mortuorum riafferma alla lettera la più radicale e sconcertante verità cristiana, la promessa più ardita e irrinunciabile della fede: la resurrezione dei morti. La seconda espone e interpreta quel Mysterium iniquitatis di cui Paolo ha scritto profetizzando la grande apostasia finale e sul quale la Chiesa, nel suo insegnamento, ha sempre taciuto. Non a caso: secondo l'esegesi del suo ultimo papa, infatti, è innanzitutto nella Chiesa baluardo contro il male che il male stesso si annida. E così la seconda enciclica di Pietro II si conclude con parole che sanciscono solennemente «il dogma del fallimento del cristianesimo nella storia del mondo». Subito dopo tali durissime rivelazioni Pietro II sale all'interno della cupola di San Pietro e muore precipitando all'incrocio dei bracci della croce, «nel luogo dei falsi trionfi, là dov'è anche sepolto il pescatore di Galilea». è questa la traccia di una «storia dell'ultimo papa» che ha ossessionato Quinzio per anni, da quando ne scrisse per la prima volta in La croce e il nulla. Rinunciando a ogni impalcatura narrativa, Quinzio ha finalmente deciso di prestare all'ultimo papa, alla fine dell'ultimo millennio, i suoi pensieri e le sue parole e ha voluto accompagnare le due encicliche di Pietro II con una breve e lucidissima analisi di sé. E proprio questa rinuncia dà ancora maggiore evidenza alla natura drammatica e sconvolgente dell'interrogativo, perennemente eluso, sulla morte e sul male.Mysterium iniquitatis è apparso per la prima volta nel 1995.
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