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scheda di Bianchetti, C. L'Indice del 2000, n. 03
In questi ultimi anni Massimo Ilardi si è spesso interrogato sul carattere dello spazio metropolitano da un'angolazione impressionistica che non cerca mediazioni e si abbandona a umori e idee sulla condizione contemporanea, traendo da essi considerazioni sulla città. Nella sua prolifica produzione questo ultimo libro pare segnare una soglia, non solo per aspetti squisitamente editoriali (cambia l'editore e la strategia di attenzione costruita attorno al testo), ma per il modo in cui esso precisa, nelle sue diverse implicazioni, l'ipotesi che lega spazi della metropoli contemporanea all'agire individuale, indipendente da ogni etica come da ogni progetto comune, in un'ottica che è piuttosto di "individualismo estremo". Nel linguaggio di Ilardi, così vicino all'enfasi militante degli anni settanta, lo spazio è modellato da "un popolo di diavoli e avventurieri della periferia", spinti dal solo interesse materiale. La nozione di non-luogo, abbandonata definitivamente al consumo eccessivo degli ultimi anni, non è più neppure richiamata: segno di un'obsolescenza estremamente veloce di nozioni e riferimenti che segna più di un percorso nella letteratura disciplinare di questi anni. Sono invece i "territori dell'attraversamento" ciò su cui si fissa l'attenzione; è il vuoto senza alcuna ambigua nostalgia per l'intero. Per Ilardi nessun progetto né istituzionale né, tanto meno, di architettura può ambire a definire pacificamente uno spazio pubblico o a regolarlo: l'architettura non può, come nel progetto moderno, ridurre il caos attraverso forme spaziali, ma deve accontentarsi di essere "esteriorità pura".
Cristina Bianchetti
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